Un’arma in più per prevenire il cancro al fegato arriva dal microbiota intestinale, per lo meno nei soggetti affetti da fegato grasso e quindi già a rischio. La scoperta è contenuta in uno studio di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli-IRCCS e Università Cattolica in collaborazione con Fondazione IRCCS-Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, pubblicato sulla rivista “Hepatology”.
Lo studio del profilo del microbiota intestinale è cruciale per capire chi si ammalerà di tumore epatico. I risultati dello studio aprono le porte alla possibilità di cure mirate e all’identificazione precoce dei pazienti con cirrosi epatica da fegato grasso a maggior rischio di sviluppare epatocarcinoma.
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I fattori di rischio per il peggioramento della salute del fegato, in assenza di danno da alcol o da virus o da autoimmunità, sono l’iperalimentazione, l’eccesso di fruttosio industriale, la vita sedentaria, il diabete, il sovrappeso, l’obesità e alcuni fattori genetici. Ciò comporta lo sviluppo di steatosi epatica e la steatoepatite (fegato grasso), con accumulo patologico di lipidi a livello epatico e con successiva infiammazione e danno del tessuto sano.
«L’asse fegato-intestino gioca un ruolo chiave nella patogenesi della steatosi epatica non alcolica (NAFLD) che – spiega il professor Gasbarrini è la terza causa al mondo di carcinoma epatocellulare (HCC). Tuttavia, il legame tra microbiota intestinale ed epatocarcinogenesi resta in gran parte da comprendere. L’obiettivo dello studio è stato esplorare le caratteristiche del microbiota associate alla presenza di HCC nei pazienti con fegato grasso andati incontro a cirrosi epatica».
La ricerca è della dottoressa Francesca Ponziani del gruppo condotto dal professor Antonio Gasbarrini, direttore dell’Area Gastroenterologia e Oncologia Medica della Fondazione Policlinico Gemelli e Ordinario di Gastroenterologia dell’Università Cattolica in collaborazione con il professor Vincenzo Mazzaferro dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
L’alta prevalenza del fegato grasso nella popolazione generale (20-30% delle persone ha fegato grasso) e la stretta associazione con il diabete e con l’obesità (il 70% degli obesi, oltre l’80% dei diabetici hanno il fegato grasso) fanno sì che la steatosi epatica rappresenti attualmente la prima causa di malattia cronica del fegato. Inoltre, la possibile evoluzione verso la cirrosi e il tumore del fegato impongono una stretta osservazione del paziente con fegato grasso. È di fondamentale importanza individuare caratteristiche del paziente che aiutino a capire se ha una malattia potenzialmente progressiva, quindi dei marcatori di rischio che consentano di fare previsioni senza ricorrere a esami invasivi come la biopsia.
Nello studio della dottoressa Ponziani è emerso che i pazienti con tumore epatico presentano livelli eccessivi di calprotectina fecale, che è una proteina rilasciata da cellule del sistema immunitario nelle condizioni di infiammazione. Anche i livelli plasmatici di mediatori dell’infiammazione erano maggiori nei pazienti con tumore, che presentavano inoltre un elevato quantitativo di cellule “immunosoppressorie” e “attivate” nel sangue. Inoltre il microbiota dei pazienti con cirrosi era caratterizzato da una maggiore abbondanza di Enterobacteriaceae e Streptococco e una carenza di Akkermansia, quest’ultima parte del pool di batteri benefici per l’organismo.