L’associazione che segue le persone affette da leucemie, linfomi e mieloma dal 1949 traccia un bilancio del suo operato: «Prima la diagnosi di questo tipo di malattia era un dramma per il paziente e per la sua famiglia, ora le cose sono cambiate. Tra i nostri cavalli di battaglia lo sviluppo delle cure domiciliari»
Un tempo i pazienti affetti da tumore del sangue erano destinati ad una morte praticamente certa e molto rapida, in quanto la malattia era sostanzialmente incurabile. Dopo decenni di ricerca e di nuove terapie, la prognosi di questi pazienti è cambiata: le malattie possono essere curate e associate ad una buona qualità di vita. Merito di questi progressi è anche dell’AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma) che quest’anno ha festeggiato i suoi primi 50 anni di attività. «Prima la diagnosi di questo tipo di malattia era un dramma per il paziente e per la sua famiglia – spiega ai nostri microfoni Sergio Amadori, presidente nazionale AIL dallo scorso maggio – mentre ora le cose sono fortunatamente cambiate. Uno dei nostri cavalli di battaglia è stato lo sviluppo delle cure domiciliari, ovvero trasferire a casa del paziente una parte delle terapie che deve affrontare». Ma AIL fa molto di più, con la sua rete composta da 81 sezioni provinciali sparpagliate in 20 regioni, in modo da coprire tutto il territorio nazionale. «Il nostro spirito solidaristico – spiega ancora Amadori – è nato grazie al lavoro del professor Franco Mandelli, che in 30 anni e in qualità di presidente ha lavorato strenuamente per rendere l’attività della nostra associazione il più solidale possibile. Oggi, grazie a lui, AIL è un punto di riferimento per quanto riguarda il settore del volontariato sociale».