Salute 30 Aprile 2021 15:11

Tumori del sangue, in 20 anni guarigioni quasi raddoppiate. Amadori (AIL): «Così la ricerca ha rivoluzionato lo scenario»

Dal CAR T alla medicina personalizzata, in ambito oncoematologico oggi si riescono a curare malattie che fino a 20 anni fa avevano una prognosi infausta

Tumori del sangue, in 20 anni guarigioni quasi raddoppiate. Amadori (AIL): «Così la ricerca ha rivoluzionato lo scenario»

Se c’è un ambito in cui la ricerca negli ultimi decenni ha fatto passi da gigante, questo è sicuramente quello oncoematologico. Se cinquanta anni fa una diagnosi di leucemia, linfoma o mieloma poteva rappresentare quasi una condanna, oggi le cose sono molto cambiate. Un’accelerazione che si è registrata soprattutto negli ultimi 20 anni e in particolare da quando si è imposta la cosiddetta ‘medicina di precisione’ che attraverso la conoscenza dei meccanismi patogenetici dei tumori del sangue consente di personalizzare i trattamenti con terapie di precisione. Ne abbiamo parlato con il Presidente AIL e Professore Onorario di Ematologia – Università Tor Vergata di Roma Sergio Amadori, reduce dal Congresso Leukemia 2021 dove si è fatto il punto sulle più recenti innovazioni nelle cure, a partire dal CAR T.

«I progressi della ricerca hanno veramente cambiato lo scenario dei trattamenti dei tumori del sangue – spiega Amadori a Sanità Informazione -. Questo perché la ricerca ha consentito di svelare e capire meglio quelli che sono i meccanismi biologici che sono alla base dell’insorgenza e della crescita di un tumore. Fino a 20 anni fa non si conoscevano bene. Il trattamento di questi tumori era sostanzialmente legato all’impiego della chemioterapia tradizionale magari rinforzata con il trapianto di midollo osseo. Abbiamo registrati dei risultati terapeutici importanti ma poi ci si è resi conto che più di tanto la chemio non può fare».

Aspettativa di vita quasi raddoppiata

Grazie alla ricerca, che in Italia ha trovato un impulso formidabile dal Gruppo cooperatore GIMEMA nato da un’idea illuminata del professor Franco Mandelli che decise molti anni fa di creare una rete di tutti i centri ematologici italiani consorziati per sviluppare programmi di ricerca clinica, le aspettative di vita dei malati sono migliorate in modo sorprendente. «Fino a 20-25 anni la possibilità di guarigione dal tumore del sangue viaggiava intorno al 30-40% come parametro medio – spiega il Presidente AIL -. Oggi dopo 20 anni di progresso legato anche alla messa a punto di farmaci innovativi capaci di andare a bersagliare le alterazioni genetico molecolari che sono alla base di questi tumori le cose sono radicalmente cambiate. Dal 30-40% di indice di guaribilità siamo arrivati per tutti i tumori del sangue in maniera complessiva ad un indice di guaribilità intorno al 60-70%».

Dalla Leucemia Acuta alla Mieloide, passi avanti straordinari

Il dato globale per tutti i tumori del sangue è solo un valore medio: in alcune specifiche patologie la percentuale di guarigione è molto più elevata. «Noi oggi abbiamo assoluta evidenza di miglioramento per alcune forme di tumori del sangue come la Leucemia Acuta Promielocitica che 25-30 anni veniva chiamata leucemia fulminante: all’epoca chi ce l’aveva viveva molto poco. L’indice di mortalità era molto alto, soprattutto nel primo mese dalla diagnosi. Oggi in quella patologia per cui una volta guariva il 20-25% dei pazienti si guarisce nel 95% dei casi. Un salto incredibile».

Il cambio di passo è avvenuto grazie alla scoperta del meccanismo biologico, una alterazione genetica molecolare molto specifica: sono stati messi a punto dei farmaci intelligenti che bersagliano questa anomalia genetica con ottimi risultati.

«Altri esempi – continua Amadori – sono la Leucemia Mieloide Cronica che 20 anni fa ha visto cambiare radicalmente il trattamento terapeutico: fino ad allora dopo 4-5 anni al massimo i pazienti morivano per trasformazione della malattia in una Leucemia acuta. Da quando 20 anni fa venne scoperto un farmaco capace di bersagliare questa alterazione genetica i pazienti vivono in maniera non diversa rispetto ai pari età sani».

La speranza delle CAR T

Al Congresso Leukemia non è stato trascurato il tema della terapia CAR T, un trattamento che negli ultimi anni sta rivoluzionando questo campo e che, sebbene sia ancora in una fase sperimentale, sembra garantire una chance di salvezza anche a quei malati che hanno provato senza successo tutte le terapie a disposizione.

«È una forma di terapia cellulare o immunoterapia – spiega Amadori -. Va a stimolare le cellule del sistema immunologico del soggetto. Ognuno di noi nella sua vita produce dei piccoli cloni di cellule tumorali, solo che abbiamo un grande difensore che è il sistema immunologico che le riconosce, le intercetta e le distrugge. Nei soggetti che sviluppano un tumore vuol dire che il sistema immunologico si è addormentato, come anestetizzato e il tumore trova terreno fertile per crescere. I ricercatori hanno visto che i linfociti di un paziente affetto da tumore ematologico erano linfociti come ‘annebbiati’. Per risvegliare queste cellule si è messo a punto un sistema che prende dal soggetto affetto da tumore i linfociti nel sangue. Vengono portati in vitro, modificati geneticamente attraverso l’inserzione di un recettore particolare “CAR” (T perché sono Linfociti T) che viene costruito per permettere in maniera ingegnerizzata al linfocita che lo esprime di riconoscere i recettori che sono nella superficie delle cellule tumorali».

La terapia a base di CAR T sta dando grandi risultati in pazienti arrivati al termine delle opportunità terapeutiche. «Abbiamo visto soggetti con linfomi maligni che sembravano persi ottenere invece una remissione completa e molte di queste remissioni si sono dimostrate durature nel tempo – continua Amadori -. Con la CAR T c’è una possibilità di lunga sopravvivenza in circa il 40-50% dei pazienti che avevano possibilità di guarigione pari a zero».

Tuttavia, ancora molto c’è da capire di questa terapia: la terapia CAR T ha dimostrato avere un grado di tossicità legata al rilascio di citochine (proprio come nel Covid) e anche una tossicità neurologica che può dare confusione, crisi epilettiche e a volte, nei casi più estremi, anche stati di coma.

«È una terapia non semplice, va maneggiata con cura da specialisti che lavorano in strutture ospedaliere – spiega il Presidente AIL -. Inoltre, non è una terapia per tutti i malati affetti da tumore del sangue. Il paziente che è arrivato al capolinea dei trattamenti e che si sente dire che non c’è più niente da fare oggi telefona tutti i giorni all’AIL per chiedere se può fare le CAR T. Ma i centri che le fanno sono contingentati per motivi di esperienza e perché sono terapie estremamente costose. Oggi il messaggio da dare è che le terapie CAR T sono terapie innovative di grandissimo interesse ma ancora oggi debbono essere considerate sperimentali perché si sta cercando di capire meglio i meccanismi di tossicità e perché alcuni pazienti apparentemente rispondono e dopo sei mesi o un anno vedono il ritorno della malattia».

Covid e malati oncoematologici

Con il professor Amadori abbiamo infine affrontato il tema del Covid e dei ritardi diagnostici nel campo dei tumori del sangue. Ma su questo Amadori tranquillizza. «Posso dire che nella oncoematologia i colleghi ematologici e i centri hanno fatto i salti mortali per cercare di arrivare a una diagnosi più precoce possibile dei pazienti che avevano analisi sospette. AIL ha circa 20mila volontari che lavorano nelle 82 sezioni che sono in tutta Italia. Hanno assistito i pazienti, hanno cercato di fare il trait d’union tra loro e i medici curanti e questo ha consentito a loro di fare una diagnosi nei tempi più rapidi possibile ed erogare a casa una parte della terapia. Il Covid ha avuto un impatto modesto sulla oncoematologia».

Infine, Amadori spiega l’importanza della vaccinazione Covid per i malati di tumori del sangue: «Devono farla perché hanno un sistema immunologico indebolito dal tumore e quindi è più facile in caso di infezione di avere delle complicanze gravi. L’ideale sarebbe che la vaccinazione avvenga subito prima l’inizio delle terapie o dopo qualche mese dalle cure. Però se non è possibile bisogna vaccinarsi anche durante i trattamenti. Potrebbe registrarsi una risposta anticorpale inferiore, ma anche quella piccola risposta può in parte proteggere. Possono prendere qualsiasi vaccino».

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