Il professor Giampaolo Tortora, Direttore del Comprehensive Cancer Center del Policlinico Gemelli, in un’intervista a Sanità Informazione, analizza due studi che, pur giungendo a conclusioni apparentemente opposte, sono tra loro complementari: è vero che perdere peso potrebbe essere collegato ad un aumento del rischio di tumori, ma è altrettanto corretto affermare che meno calorie si assumono e più anni di vita potremmo avere davanti a noi
Perdere peso è fondamentale per scongiurare malattie cardiovascolari, diabete e molto altro, eppure il dimagrimento potrebbe essere collegato, negli anni successivi, ad un aumento del rischio di tumori, soprattutto del tratto gastrointestinale. A rivelare questa potenziale associazione è uno studio pubblicato di recente sulla rivista JAMA e condotto da Brian Wolpin del Dana-Farber Cancer Institute e della Harvard Medical School di Boston. Negli stessi giorni, sulla rivista Nature Aging è stato pubblicato un altro studio, condotto dai ricercatori della Columbia University, che sembra giungere ad una conclusione, almeno apparentemente, opposta: meno calorie si assumono durante il giorno e più anni di vita potremmo aspettarci di vivere. Per gli scienziati statunitensi la “restrizione calorica” a lungo termine potrebbe rallentare il processo di invecchiamento biologico negli adulti. “Le conclusioni a cui giungono i due gruppi di ricerca non sono affatto contradditorie. Piuttosto, a seguito di un’attenta analisi potranno risultare addirittura correlate”, spiega il professor Giampaolo Tortora, Direttore del Comprehensive Cancer Center del Policlinico Gemelli, in un’intervista a Sanità Informazione.
Cominciano, dunque, la nostra analisi dal primo studio citato, quello che correlerebbe la perdita di peso ad un rischio aumentato di tumori del tratto gastrointestinale. Per giungere a questa conclusione, gli esperti del Dana-Farber Cancer Institute e della Harvard Medical School di Boston hanno esaminato l’incidenza di diagnosi di cancro nel corso di 12 mesi tra operatori sanitari che avevano perso peso nei due anni precedenti. I dati sono stati poi correlati con quelli ottenuti da coetanei con caratteristiche simili che nei 24 mesi precedenti non si erano messi a dieta. Nello specifico, i ricercatori hanno coinvolto un gruppo di donne dai 40 anni in su già arruolate in uno studio sulle infermiere, il Nurses Health Study, la cui salute è stata monitorata dal giugno 1978 allo stesso mese del 2016, e uomini di 40 anni e oltre coinvolti nello studio sul follow-up degli operatori sanitari, l’Health Professionals Follow-Up Study, seguiti dal gennaio 1988 al 2016. In tutto sono stati selezionati 157mila partecipanti.
“Da quest’analisi è emerso che gli operatori sanitari che avevano perso peso nei due anni precedenti avevano un rischio significativamente più elevato di sviluppare il cancro nei successivi 12 mesi, rispetto a chi non aveva subito alcuna recente perdita di peso”, spiega il professore Tortora. I dati mostrano che un cancro del tratto gastrointestinale superiore (cancro dell’esofago, stomaco, fegato, vie biliari o pancreas) era più frequente tra i partecipanti con recente perdita di peso, rispetto a quelli che non erano dimagriti: 173 casi di cancro ogni 100mila partecipanti riscontrati tra le persone che avevano perso di più del 10% del peso di partenza, contro 36 casi di cancro ogni 100mila persone tra coloro che non erano dimagrite affatto. Gli stessi ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute e della Harvard Medical School di Boston, al termine della ricerca, ne hanno sottolineato il limite: resta da capire ‘perché’ la dieta incide sul cambiamento nel rischio di tumori.
“Va sottolineato – aggiunge il professore Tortora – che l’incidenza di queste tipologie di tumori, stando ai risultati dello studio guidato dal professore Brian Wolpin, è maggiore tra coloro che hanno perso peso senza aver seguito una dieta dimagrante. In altre parole, è più alta la percentuale di diagnosi di cancro del tratto digerente alto tra chi aveva perso peso, nei 12 mesi precedenti, involontariamente e senza conoscerne le cause”, aggiunge il Direttore del Comprehensive Cancer Center del Policlinico Gemelli. La perdita di peso è, dunque, una conseguenza del tumore, che pur non avendo dato segni di sé, si stava già facendo strada nell’organismo di coloro che perdevano immotivatamente peso o può essere considerato uno dei fattori scatenanti della patologia oncologica? “Molti studi sono giunti alla prima conclusione – risponde il professore Tortora -. Ovvero, che il dimagrimento può essere considerato una conseguenza del tumore anche in fase precocissima, grazie alla produzione di sostanze infiammatorie che minano soprattutto il metabolismo proteico e intaccano la massa muscolare. Naturalmente sarebbe estremamente interessante capire se anche la seconda ipotesi possa avere qualche ruolo. Indagare questa possibilità potrebbe aprire nuovi interessanti scenari in termini di diagnosi precoce. La perdita di peso potrebbe rappresentare un segnale precocissimo, eventualmente assieme ad altri che potranno essere individuati in ulteriori studi, in grado di segnalarci che un determinato paziente potrebbe sviluppare una patologia oncologica nel futuro imminente”.
Ed è proprio la perdita di peso inconsapevole che ci proietta verso il secondo studio analizzato all’interno di questo articolo, quello condotto dagli scienziati della Columbia University, in cui i partecipanti hanno seguito regimi dietetici restrittivi in modo del tutto volontario e consapevole. Gli studiosi statunitensi sostengono che riducendo l’apporto calorico del 12% per due anni in adulti magri o leggermente in sovrappeso si è osservato un rallentamento del processo di invecchiamento dell’ordine del 2-3%. Per determinare se la riduzione calorica a lungo termine cambiava la velocità dell’invecchiamento del corpo i ricercatori hanno misurato delle modifiche al Dna. Sebbene l’effetto sia modesto, si accumula nel tempo. Ricerche precedenti suggeriscono che un rallentamento simile potrebbe ridurre il rischio di morire di circa il 10-15%. I risultati del lavoro forniscono prove che i cambiamenti molecolari associati all’età possono essere rallentati o invertiti, potenzialmente estendendo la durata della vita umana.
Ma non è tutto. “Chi segue regimi alimentari caratterizzati da una restrizione calorica o da digiuni intermittenti è, nella maggior parte dei casi, molto attento alla qualità dei cibi consumati. Di certo la dieta non trascurerà il giusto apporto di proteine, moderando l’assunzione di zuccheri. Seguire un’alimentazione controllata significa limitare la comparsa dei cosiddetti ‘batteri cattivi’ nella flora intestinale, il cosiddetto microbiota, eliminando o riducendo al minimo quegli stati infiammatori associati alla cancerogenesi”, aggiunge il professore Tortora. L’alimentazione controllata e basata sull’assunzione di specifici alimenti è un elemento essenziale anche per la buona riuscita del trattamento oncologico. “All’interno del Policlinico Gemelli la nostra equipe di nutrizione clinica è impegnata proprio nello studio dei benefici che il paziente oncologico trae da un’adeguata alimentazione. Ora – conclude lo specialista -, la ricerca dovrebbe orientarsi anche all’analisi del ruolo dell’alimentazione nella prevenzione dei tumori, arruolando la popolazione a rischio oncologico e verificando, nel corso degli anni, se una dieta sana e controllata contribuisca alla diminuzione dell’incidenza di tumori ”.
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