Gli effetti benefici del vino sul cuore potrebbero dipendere non solo dalla presenza di polifenoli ma anche dalla sua capacità di contrastare le ceramidi, particolari grassi che favoriscono la deposizione del colesterolo “cattivo” nella parete delle arterie, contribuendo così all’aterosclerosi. A breve i primi test clinici all’IRCSS Sacro Cuore di Negrar con l’Università di Verona per accertarlo
Potremmo essere ad un passo dal vivere nel Metaverso, eppure ci sono tradizioni talmente radicate nella storia dell’uomo da sopravvivere anche per interi millenni. Il piacere di un buon bicchiere di vino è una di queste. «Sono state rinvenute tracce di vino persino all’interno di giare o frammenti di esse risalenti a 8mila anni fa», racconta il dottor Stefano Bonapace, cardiologo dell’IRCCS Sacro Cuore di Negrar, in un’intervista a Sanità Informazione.
Il vino è sopravvissuto così tanto a lungo da aver spinto, in tempi più recenti, i ricercatori di diverse parti del mondo a scoprire quali i suoi “poteri” nascosti. «La letteratura scientifica degli ultimi decenni ha messo in evidenza i numerosi effetti protettivi che un consumo, lieve o moderato, di vino ha sia sull’apparato cardio-vascolare, che su quello cerebrovascolare – spiega Bonapace -. Ora, attraverso una nuova ricerca scientifica, vorremmo ampliare questi orizzonti, indagando gli effetti che questa bevanda alcolica ha sulle ceramidi, acidi grassi presenti in quantità elevata nel sangue dei pazienti colpiti più volte da eventi ischemici come l’infarto cardiaco».
Dimostrare che l’assunzione lieve-moderata di vino può avere effetti cardiovascolari benefici agendo sulla riduzione delle ceramidi è l’obiettivo con cui, a breve, all’IRCCS Sacro Cuore di Negrar, sarà inaugurato un dottorato di ricerca, nato in collaborazione con l’Università di Verona. Le ceramidi sono oggetto di ricerca da parte del “Sacro Cuore” e dell’Università s caligera dal 2018 grazie all’utilizzo da parte del Laboratorio di Negrar di metodiche di analisi biochimica molto sofisticate e disponibili in pochi centri al mondo. Gli studi, pubblicati dal gruppo sulle prestigiose riviste internazionali Arteriosclerosis, Thrombosis, and Vascular Biology e Metabolism Clinical and Experimental, hanno dimostrato che le ceramidi tendono ad aumentare il rischio di malattia coronarica e di recidiva di eventi cardiaci come l’infarto, anche in soggetti trattati farmacologicamente in modo ottimale per la riduzione del colesterolo “cattivo”
«I benefici del consumo lieve-moderato di vino (12 grammi di alcol al giorno nella donna e 25 grammi nell’uomo, corrispondenti rispettivamente ad uno o due bicchieri da 125 ml) sono stati ampiamenti dimostrati, in particolare l’assunzione di vino rosso è stata correlata a un minor rischio di malattia coronarica – spiega il dottor Bonapace -. Studi epidemiologici e meta-analisi hanno principalmente attribuito questo risultato alla grande varietà di composti polifenolici presenti nel vino rosso, come ad esempio il resveratrolo che inibisce la formazione di fattori infiammatori che causano malattie cardiovascolari».
Tuttavia i meccanismi biologici responsabili dei suoi effetti cardioprotettivi non sono completamente chiariti. «Ad oggi il potenziale effetto benefico del vino consumato in modo lieve moderato sembra essere prevalentemente legato ad un aumento nel sangue del colesterolo “buono” detto HDL e ad una riduzione dell’ossidazione del colesterolo “cattivo” LDL – continua il cardiologo -. Peraltro, non vi sono dati sul possibile effetto del vino sulle ceramidi, che sembrano avere un ruolo di “facilitatori” nel processo di aterogenesi favorendo con vari meccanismi la deposizione del colesterolo “cattivo” LDL nella parete delle arterie causandone così la progressiva ostruzione. Lo studio – conclude Bonapace – mira proprio a cercare di chiarire attraverso un’assunzione controllata in modo sperimentale di una certa quantità di vino, se parte dell’effetto benefico di questa popolare bevanda sul sistema cardiovascolare possa passare anche attraverso la modificazione nel sangue di queste ceramidi che, in prospettiva, potrebbero diventare un nuovo “target terapeutico”».
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