Lo studio approfondisce le prospettive del SSN tra sostenibilità, equità e promozione della salute. L’emergenza sanitaria da Sars-Cov-2 ha accelerato le criticità già presenti provocando una profonda crisi economica che ha ulteriormente ampliato le disuguaglianze sociali
Curarsi, in Italia, diventa sempre più difficile. A causa del Covid, un italiano su tre ha dovuto rinviare le prestazioni sanitarie e le cure. Per preservare i valori fondanti del Ssn (universalismo, uguaglianza e gratuità delle cure per gli indigenti) e garantire adeguati livelli di cura a tutti, è necessario istituire un secondo pilastro sanitario complementare che possa affiancarlo. La sanità integrativa, con il contributo di strumenti privati come fondi e polizze, è una priorità improcrastinabile per gestire le prestazioni non erogabili dal Servizio sanitario nazionale.
È quanto emerge dal “IX Rapporto sulla Sanità Pubblica, Privata e Intermediata” realizzato da Intesa Sanpaolo RBM Salute-Censis, che promuove una riflessione sull’evoluzione del Sistema sanitario in una prospettiva di maggiore sostenibilità, equità ed inclusione. Lo studio, che si basa su un lavoro di ricerca condotto nel 2019 e nel 2020, consegna un sistema sanitario «sempre più esposto in termini di sostenibilità, sia a livello economico sia a livello sociale, a causa dello sviluppo costante dei bisogni di cura dei cittadini, della progressiva cronicizzazione delle malattie e del crescente ruolo dell’innovazione tecnologica in sanità», spiegano Marco Vecchietti, Amministratore delegato e Direttore generale di Intesa Sanpaolo RBM Salute e Nicola Maria Fioravanti, Amministratore Delegato Intesa Sanpaolo Vita.
L’emergenza causata dal Sars-Cov-2 ha innescato una sindemia, accelerato le criticità già presenti e attivato una profonda crisi economica che ha ulteriormente ampliato le disuguaglianze sociali. La salute è diventata un ambito insicuro, in cui ci si sente scoperti e altamente vulnerabili. «L’82,3% degli italiani – si legge – è angosciato perché in questa emergenza ha sperimentato o capito che anche in caso di necessità assoluta, il sistema potrebbe non essere in grado di garantirgli le cure di cui ha bisogno».
Il 33% degli italiani dichiara di aver dovuto «rinviare prestazioni sanitarie di vario tipo, perché la struttura si occupava solo di Covid-19, per paura del contagio o perché non ha trovato ascolto». E si tratta proprio di chi ne ha più bisogno: il 63,7% di chi ha un pessimo stato di salute, il 45,6% tra chi ha malattie croniche. Il Ministero della Salute ha comunicato un taglio del 40% delle prestazioni erogate nell’ultimo anno, tagli per 13,3 milioni per gli accertamenti diagnostici e di 9,6 milioni visite specialistiche. È forse anche per questo che, per il 66,6% degli italiani, la salute sarà la preoccupazione principale per i prossimi anni. «Non ci sarà ambito di vita individuale e collettivo – prosegue il report – in cui la buona salute non prevarrà su ogni altra considerazione».
Il 90,8%, traumatizzato dall’esperienza Covid, vuole guardarsi le spalle: il 34% pensa a un ampliamento del Welfare pubblico mentre il 66% conta su forme di autotutela privata. Dal report risulta che la Spesa Sanitaria Privata svolge un ruolo di complementarità e di integrazione rispetto al Servizio Sanitario Nazionale.
L’indagine dimostra che la sanità integrativa interessa soprattutto i lavoratori dipendenti (53%): in Lombardia e nel Lazio il ricorso alle polizze sanitarie è ormai quasi una prassi (rispettivamente il 57% e il 40% dei cittadini sono assicurati), in Sardegna, Umbria, Calabria, Valle d’Aosta e Trento non si arriva neanche al 5%. Ciò che fa riflettere è che interessa prevalentemente le persone con un maggior fabbisogno di salute e gli anziani. È fondamentale sottolineare che più della metà delle rinunce vada a colpire proprio i redditi più bassi, perché decresce progressivamente in ragione del crescere della disponibilità reddituale. Dal punto di vista territoriale, è l’area del Mezzogiorno a presentare un’incidenza estremamente superiore alla media (il 48%) rispetto a un dato nazionale molto più basso (meno della metà).
In questo nuovo contesto «il nostro Paese dovrebbe imboccare la strada della diversificazione delle fonti di finanziamento in sanità – concludono Marco Vecchietti e Nicola Maria Fioravanti -. La sinergia tra pubblico e privato, favorita dall’intermediazione di Fondi e Assicurazioni Sanitarie, può liberare importanti risorse aggiuntive per la tutela della salute dei cittadini favorendo allo stesso tempo la stessa stabilità del Servizio sanitario nazionale».
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