Un semplice esame del sangue potrebbe aiutare a identificare i pazienti che corrono un rischio più immediato di morire di insufficienza cardiaca. Coloro che hanno livelli più alti di una proteina specifica, il neuropeptide Y (NPY), hanno il 50% di probabilità in più di morire per complicazioni cardiache. A mettere a punto il nuovo test è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford in uno studio pubblicato sulla rivista European Journal of Heart Failure
Un semplice esame del sangue potrebbe aiutare a identificare i pazienti che corrono un rischio più immediato di morire di insufficienza cardiaca. Coloro che hanno livelli più alti di una proteina specifica, il neuropeptide Y (NPY), hanno il 50% di probabilità in più di morire per complicazioni cardiache, rispetto a coloro che hanno livelli più bassi di questa proteina. A mettere a punto il nuovo test è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford in uno studio pubblicato sulla rivista European Journal of Heart Failure. I risultati suggeriscono che misurare i livelli di NPY potrebbe aiutare a prevedere come l’insufficienza cardiaca progredisce.
Sapere quali sono i pazienti più a rischio, secondo i ricercatori, potrebbe portare a una maggiore personalizzazione dei trattamenti per rallentare la malattia mortale, che si verifica quando il cuore non riesce più a pompare il sangue nel corpo come dovrebbe. Nel nuovo studio i ricercatori hanno utilizzato i dati di oltre 800 adulti con insufficienza cardiaca in diversi stadi. Ai soggetti sono stati misurati i livelli di peptide natriuretico (BNP), un ormone attualmente utilizzato per diagnosticare l’insufficienza cardiaca, insieme all’NPY. I nervi del cuore rilasciano NPY in risposta a uno stress estremo, che può innescare ritmi cardiaci pericolosi. Questo può causare la chiusura dei vasi sanguigni più piccoli del muscolo cardiaco, facendo lavorare di più il cuore e provocando la contrazione dei vasi sanguigni che vanno al cuore.
Gli scienziati hanno scoperto che circa un terzo del gruppo dei partecipanti coinvolti nello studio aveva livelli elevati di NPY e aveva il 50% in più di probabilità di morire per complicazioni cardiache durante il periodo di follow-up di tre anni. I risultati suggeriscono che la misurazione dell’NPY insieme al BNP potrebbe essere utilizzata per aiutare a diagnosticare coloro che si trovano in pericolo più immediato. Questo consentirebbe ai medici di decidere chi potrebbe trarre beneficio da trattamenti come un defibrillatore cardioverter impiantabile (ICD) che rileva e arresta i battiti cardiaci irregolari, chiamati aritmie.
“I risultati di questa ricerca rappresentano un nuovo entusiasmante sviluppo”, commenta
Neil Herring, professore di medicina cardiovascolare all’Università di Oxford e autore dello studio. “Successivamente, esamineremo se la misurazione di livelli molto elevati di neuropeptide Y potrebbe influenzare la possibilità per i pazienti di ricevere trattamenti salvavita come gli ICD”, aggiunge. Lo scienziato spera che questo test possa essere introdotto entro cinque anni.
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