In attesa di conferme cliniche, l’efficacia profilattica dell’idrossiclorochina viene sostenuta dal professor Bacco, medico di igiene del lavoro: «I soggetti che sono maggiormente esposti ad una possibile infezione, o particolarmente deboli, interfacciandosi con il loro medico di famiglia, potrebbero utilizzarla come una preparazione ad un eventuale contagio»
Dalla idrossiclorochina ancora una speranza per contrastare il Coronavirus. A sostenerlo è il professor Pasquale Mario Bacco, medico di igiene del lavoro che, forte dei risultati di una ricerca americana realizzata in Corea, ha fatto uno studio su 7038 pazienti di nove regioni italiane e San Marino, evidenziando che se il 34% dei soggetti venuti a contatto con il virus è stato ricoverato, solo il 4% di chi ha assunto idrossiclorochina ha poi manifestato una forma grave di coronavirus.
«La ricerca pubblicata sull’International Journal of Antimicrobial Agents, rivista ufficiale della Sanità Internazionale di Chemioterapia Antimicrobica – spiega Bacco – è stata fatta in Corea, Paese indicato a livello internazionale come uno dei più efficaci per il contenimento, e realizzata nel mese di febbraio. Successivamente è stata presentata in Italia dal dottor Savarino, ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità, e dalla farmacologa Annalisa Chiusolo. I loro dati, messi a confronto con quanto emerso dallo studio realizzato con la mia azienda Menean dal 25 febbraio al 24 aprile in nove regioni italiane (Lombardia, Veneto, Liguria, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna) e San Marino, hanno evidenziato che l’idrossiclorochina può essere un’ottima forma di profilassi. Il perché è spiegabile dal meccanismo con cui il virus si lega alle cellule. Infatti, una volta che entra nell’organismo, il virus, che è un parassita, non solo si lega ai ricettori cellulari, ma anche all’emoglobina. In particolare, si legherebbe alla catena proteica Beta e non farebbe solo danni all’interno delle cellule, ma legandosi all’emoglobina, impedirebbe il trasporto dell’ossigeno in tutto l’organismo, come se ad un certo punto andasse in competizione con l’ossigeno».
«L’idrossiclorochina, a sua volta – continua Bacco -, si lega alle catene Beta, quindi non ha un’azione diretta contro il virus ma indiretta, e quando il virus entra, trova le catene Beta occupate. Questa non è una terapia, ma è il punto di svolta. In autunno, quando il virus probabilmente tornerà, il trattamento precoce con l’idrossiclorochina potrebbe essere una profilassi importante».
Un meccanismo che si ritroverebbe anche per i malati di Aids, secondo Bacco: «Abbiamo riscontrato una certa similitudine con il virus dell’Hiv – sottolinea –. Nessun soggetto sieropositivo pare si sia ammalato di Covid perché si è visto che i recettori del coronavirus sono gli stessi dell’Hiv. In più, poiché il virus dell’Hiv è molto più forte, andrebbe ad impedire al coronavirus di legarsi ai recettori».
Un’ipotesi, quella dell’efficacia profilattica dell’idrossiclorochina, che attende conferme cliniche, ma che potrebbe cambiare lo scenario della convivenza con il virus, come rimarca il professor Bacco: «È un farmaco poco tossico, sconsigliato solo in soggetti cardiopatici gravi, ma è chiaro che non può essere un farmaco da auto-somministrazione. I soggetti che sono maggiormente esposti ad una possibile infezione, o particolarmente deboli, anziani o con patologie pregresse, interfacciandosi con il loro medico di famiglia potrebbero utilizzarla come una preparazione ad un eventuale contagio».
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