Un effetto “positivo” della pandemia è stata la riduzione dell’uso degli antibiotici in Europa, un passo importante nella lotta all’antibiotico-resistenza che spaventa scienziati e istituzioni. Negli ospedali dei paesi dell’est il consumo è però aumentato e sono stati individuati anche ceppi di resistenza agli antimicrobici di ultima generazione
La pandemia da Covid-19 potrebbe aver contribuito a ridurre l’uso di antibiotici nelle cure primarie. Una riduzione del 15% tra 2019 e 2020 è dimostrata dai dati del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), su un controllo operato nei paesi dell’area europea. Restano comunque elevati i livelli di resistenza antimicrobica per alcune specie di batteri e gruppi antimicrobici, specie nel sud e nell’est della zona. Quella che Stella Kyriakides, commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, definisce «una sfida seria a livello globale».
La ragione dietro questa diminuzione, legata alle cure primarie, può essere legata a un generale calo delle visite di assistenza primaria, per una comune esitazione nel rivolgersi al medico per infezioni lievi e, in contemporanea, per una grande difficoltà nell’ottenere un appuntamento. Da qui la minore prescrizione di antibiotici, che si nota maggiormente secondo ECDC soprattutto in quei paesi in cui l’uso era eccessivo e inappropriato prima della pandemia. Un’altra delle ragioni potrebbe ravvisarsi nella bassa incidenza di infezioni del tratto respiratorio non legate a Covid, che nel 2020 sono quasi sparite considerando le misure di protezione e distanziamento.
La stessa diminuzione si è verificata anche negli ospedali, dove il consumo di antimicrobici tra 2019 e 2020 è sceso in due terzi dei Paesi della zona europea. Per contro i restanti hanno invece registrato un aumento, secondo i dati ECDC. Nel sud ed est Europa il consumo “inutile” di antibiotici sta da anni preoccupando i vertici istituzionali. In particolare in quanto i più prescritti corrispondono proprio a quelli maggiormente associati al rischio di sviluppare resistenza.
Nei dati sui livelli di resistenza antimicrobica, più della metà degli isolati di Escherichia coli segnalati all’ECDC e più di un terzo degli isolati di Klebsiella pneumoniae erano resistenti ad almeno un gruppo antimicrobico sotto sorveglianza ed era frequente la resistenza combinata a diversi gruppi antimicrobici. La resistenza ai carbapenemi era comune nelle specie P. aeruginosa e Acinetobacter. C’è stata anche una tendenza in aumento nella percentuale di isolati resistenti alla vancomicina di E. faecium, che è aumentata dall’11,6% nel 2016 al 16,8% nel 2020.
Che ci siano anche resistenze verso vancomicina e il gruppo dei carbapenemi – che sono i più “nuovi” – è potenzialmente un problema molto grave. Quando questi antibiotici non sono più efficaci, esistono opzioni di trattamento molto limitate che potrebbero non funzionare in tutte le situazioni, portando a volte a esiti fatali. La resistenza agli antibiotici di ultima linea compromette anche l’efficacia degli interventi medici salvavita come il cancro e il trapianto di organi.
«La resistenza antimicrobica è una pandemia silenziosa che sta accadendo qui e ora – ha ribadito la Kyriakides -. Sebbene il consumo di antibiotici sia generalmente diminuito durante la pandemia nell’UE//SEE, dobbiamo aumentare la nostra risposta in materia di salute pubblica. Nell’UE stiamo intensificando le nostre azioni e abbiamo fatto della lotta contro la resistenza antimicrobica una priorità. Ciò include azioni nell’ambito della nostra strategia farmaceutica, della legislazione sui medicinali veterinari e dei mangimi medicati e della nuova Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie, HERA. Si perdono vite umane perché i farmaci non funzionano più e abbiamo bisogno di intensificare l’azione globale, urgentemente. Investire oggi in salute salva la vita domani».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato