Dalle rare reazioni avverse di AstraZeneca e Johnson&Johnson ai dubbi sulla seconda dose, le risposte del direttore scientifico dello Spallanzani e membro del Cts Giuseppe Ippolito
Tutta Europa si interroga su “come” e “se” inoculare la seconda dose del vaccino AstraZeneca a chi ha già avuto la prima, e cosa fare rispetto al vaccino di Johnson&Johnson. Dopo lo stop temporaneo dell’americana Fda a causa della comparsa delle stesse identiche rare reazioni avverse di AstraZeneca (trombosi del seno cavernoso cerebrale insieme ad un crollo di piastrine), si sta infatti discutendo l’ipotesi di porre un limite d’età anche per il vaccino made in USA, raccomandandolo sopra i 60 anni.
Tornando ad AstraZeneca, per ora Germania, Francia e Olanda hanno scelto di somministrare un vaccino diverso da AstraZeneca come seconda dose, Pfizer o Moderna. Anche in Italia è partita la sperimentazione, con l’ok di AIFA allo Spallanzani, dove si testeranno seconde dosi diverse da AstraZeneca.
La comunità scientifica su questo punto si è polarizzata in tre strategie distinte: c’è chi ha sospeso in modo totale le somministrazioni del vaccino (Norvegia e Danimarca), chi ha scelto di mettere dei limiti di età tra i 55 e 65 anni e somministrerà una seconda dose diversa (i paesi Mitteleuropei), e chi ha scelto di mettere un limite di età ma di mantenere la stessa seconda dose (Italia).
Per comprendere al meglio le ragioni di queste scelte Sanità Informazione ha intervistato Giuseppe Ippolito, membro del CTS del Governo Draghi e Direttore scientifico dello Spallanzani di Roma.
«Non lo sappiamo. É l’azienda stessa che ha sospeso il vaccino. La CDC e la FDA hanno ritardato di un giorno la loro analisi, e raccomandato una pausa nell’uso del vaccino. Secondo quanto appreso stanno esaminando i dati relativi a sei casi segnalati negli Stati Uniti su oltre 6,8 milioni di dosi somministrate».
«L’adenovirus umano è uno dei virus più diffusi tra la popolazione, ma non risulta che chi è raffreddato corra un maggior rischio di sviluppare eventi trombotici. E d’altra parte il VAERS, il sistema di segnalazione di eventi avversi vaccinali della Food and Drug Administration USA, alla data del 12 aprile segnala 93 eventi avversi di trombocitopenia a seguito della somministrazione di vaccini a mRNA».
«Non lo sappiamo».
«Non si hanno notizie di gravi eventi avversi, ma stiamo parlando di vaccini che non hanno neanche lontanamente avuto lo stesso numero di inoculazioni che stanno avendo i vaccini adenovirali contro il Covid-19: parliamo, è bene il caso di ricordarlo, di pochi casi per milione».
«La più accurata analisi rischi-benefici per fasce di età è stata fatta dall’Università di Cambridge, che ha elaborato dei profili di rischio a 16 settimane: da una parte per chi si vaccina di avere un severo effetto avverso, dall’altro per chi non si vaccina di finire in terapia intensiva. Ebbene, per uno scenario epidemiologico comparabile con quello attuale in Italia (circa 200 casi per 100.000 abitanti a settimana), tra i 20-29enni che non si vaccinano il rischio “non vaccino” è sette volte maggiore al rischio vaccino, 30 volte maggiore per i 30-39enni, 100 volte maggiore per i 40-49enni, 240 volte maggiore per i 50-59enni, 640 volte maggiore per i 60-69enni. Il modello non calcola il rapporto rischio-beneficio per le fasce di età superiori, che ovviamente è ancora più sbilanciato a favore del vaccino: direi anzi enormemente sbilanciato, se solo pensiamo che in Italia gli over 70 sono il 17,4% della popolazione complessiva, ma rappresentano l’86% del totale dei decessi per Covid-19».
«In linea di principio non si può escludere nulla, ma è ovvio che un effetto avverso che non si è manifestato dopo la prima dose è molto più improbabile che si manifesti dopo la seconda. Nel Regno Unito, che di seconde dosi di AstraZeneca ne ha già somministrate parecchie, un report indipendente commissionato dal Governo al J. Craig Venter Institute ha rilevato che ad oggi non sono stati registrati casi di trombosi o di trombocitopenia successivi alla seconda dose di questo vaccino».
«Le indicazioni per questo vaccino sono cambiate con il tempo: dapprima era indicato soltanto per le persone più giovani di 55/60/65 anni, dal momento che AstraZeneca non aveva incluso abbastanza persone di queste fasce di età nelle sue sperimentazioni di fase 3. Oggi siamo nella situazione opposta, per cui sì, ovviamente succederà che una under 60, per esempio una insegnante vaccinata a marzo, riceverà la seconda dose AstraZeneca, mentre la sua collega della stessa età che si vaccina oggi si vedrà somministrare Pfizer o Moderna. Per quanto riguarda la seconda dose eterologa, Francia e Germania hanno dato indicazioni in questo senso: vedremo come andrà, forse non è un male in questo caso rimanere in seconda fila».
«L’effettuazione di test sierologici non è applicabile nel caso di vaccinazioni di massa. Se dopo la prima dose non si sono manifestati effetti avversi gravi ma solo quelli attesi (dolore nel sito dell’iniezione, cefalea, qualche linea di febbre, dolori articolari, il tutto che scompare nell’arco di 24/48 ore) non vedo per quale ragione non dovrebbe essere fatto il richiamo. Aggiungo che, in un’ottica di salute pubblica, lasciare tanta gente vaccinata a metà ci espone tutti al rischio di accelerare lo sviluppo di varianti virali».
«La farmacovigilanza in tutto il mondo continua ad accumulare dati ed a perfezionare le conoscenze sui possibili effetti dei vaccini contro il Covid, come d’altra parte si continua a fare per qualunque altro vaccino. Il tempo purtroppo è un fattore che non può essere aggirato: per sapere quali saranno gli effetti di questo vaccino tra cinque anni dobbiamo aspettare cinque anni dalle prime vaccinazioni. Per adesso sappiamo però che il vaccino è efficace contro un pericolo reale, concreto e la cui probabilità statistica è decisamente superiore a quella di un ipotetico evento avverso: è quanto basta per prendere una decisione da persone razionali».
«Stiamo parlando di un’anomala risposta degli anticorpi anti PF4, che formerebbero dei trombi. Ma sono pochi i casi (undici), non si possono tirare conclusioni generalizzate. Occorreranno studi di più significative dimensioni».
«Tutto è possibile, ma anche in questo caso occorrerebbero evidenze più solide e test effettuati su più vaccini. Al momento però questa ipotesi è stata basata soltanto su modelli animali».
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