In audizione in Commissione Sanità, il coordinatore del Cts ricorda come le stesse compagnie farmaceutiche avevano presentato all’EMA un dossier in cui la popolazione studiata aveva avuto richiami fino a 42 giorni
Ritardare il richiamo dei vaccini anti Covid a mRNA di tre settimane non ne inficia l’efficacia. Lo ripetono all’unisono sia il Direttore Generale dell’AIFA Nicola Magrini che Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità (Css) e coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts). Lo hanno ribadito in audizione presso la Commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama, chiamati a spiegare una decisione che ha disorientato l’opinione pubblica soprattutto dopo la presa di posizione di Pfizer che invece richiamava il termine di 21 giorni.
«La somministrazione della seconda dose entro i 42 giorni dalla prima è stata anche riportata nel dossier fornito dalle company all’EMA e non inficia l’efficacia della risposta immunitaria. La prima somministrazione di entrambi i vaccini a mRNA conferisce protezione rispetto a forme gravi in percentuali maggiori all’80%», ha sottolineato Locatelli. Sulla stessa lunghezza d’onda Magrini: «Aifa ha riferito che si registra l’indicazione di 21-28 giorni per Pfizer e Moderna come dato certificato, ma che la popolazione studiata arrivava fino a 42 giorni e pertanto si poteva ritenere approvato e on label un uso di questo tipo che è stato preferito e scelto come una modalità di somministrazione accettabile e preferibile».
Locatelli ha poi mostrato alcune diapositive che citano studi che hanno spinto il CTS a emanare la raccomandazione per il differimento: emerge che nel caso dei vaccini a mRNA la curva dei decessi ha iniziato a calare già dalla settima-ottava giornata dopo la somministrazione della prima dose.
«Già nella documentazione fornita da Pfizer-Biontech ad EMA era evidenziato che gli studi avevano incluso partecipanti che hanno ricevuto la loro seconda dose di vaccinazione in un intervallo tra i 19 e i 42 giorni dalla prima vaccinazione» ricorda Locatelli che conclude: «In un altro studio è emerso che persone sopra gli 80 anni che hanno aspettato 12-13 settimane hanno avuto un picco di risposta anticorpale maggiore rispetto a chi ha avuto la seconda dose a tre settimane dalla prima».
Il coordinatore del Cts ha tuttavia ammesso che la decisione è stata dovuta anche al problema della scarsità delle dosi: «C’era stato un confronto con il generale Figliuolo durante il quale il commissario straordinario aveva stimato che l’allungamento dell’intervallo avrebbe potuto consentire di incrementare fino a 3 milioni il numero di soggetti in grado di ricevere la prima dose entro il mese di maggio».
Si sta facendo largo anche nella comunità scientifica l’ipotesi che dopo un certo numero di mesi sia necessario un terzo richiamo di vaccini. «È assolutamente ragionevole ipotizzare la necessità di ricorrere a una terza dose di vaccino anti-Covid. Ma non è al momento stimabile quando dovrà essere raccomandata la somministrazione, e questo è legato al fatto che i tempi di osservazione dei soggetti vaccinati sono ancora limitati», ha spiegato Locatelli.
Sull’ipotesi seconda dose per il vaccino Johnson&Johnson Magrini non si sbilancia: «È un vaccino a dose singola e resta tale. Il richiamo, come per gli altri vaccini, lo valuteremo dopo 9-12 mesi, a cadenza annuale. Nel prossimo inverno valuteremo per tutti i vaccini, in base alla circolazione del virus o se ci saranno varianti, la necessità di una nuova somministrazione».
Magrini ha poi voluto rimarcare che «la campagna vaccinale in Italia stia andando meglio che in numerosi paesi europei per quanto riguarda l’accettazione complessiva. Se anche c’è il movimento anti-vaccini, o di paura e sospetto delle vaccinazioni, credo che sia in proporzione in quantità inferiore ad altri paesi, dove si portano dati di diffidenza vaccinale più elevati. I vaccini sono una grande opportunità, si stanno dimostrando straordinariamente efficaci».
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