Massi (Presidente UNEBA): «Vaccinato il 50% di pazienti e operatori. Colloqui con infettivologo e medico competente per convincere chi non vuole vaccinarsi»
Rallenta il piano vaccinale nelle residenze sanitarie assistenziali e per disabili a causa del numero insufficiente di dosi consegnate. Un ritardo che coinvolgerà 13 milioni e 400 mila italiani tra i 60 e i 79 anni, di cui 7 milioni con almeno una comorbidità, oltre a forze dell’ordine, insegnanti e detenuti. Un rinvio di Pfizer e AstraZeneca che farà slittare di almeno quattro settimane la vaccinazione in molte strutture per anziani e disabili. Le associazioni di categoria accusano il colpo, ma rilanciano. UNEBA, AGESPI, ANFFAS, ANASTE E ARIS scrivono al ministro Speranza e chiedono di vaccinare, oltre al personale sanitario e agli ospiti, anche un familiare per combattere la solitudine dei pazienti.
Franco Massi, presidente nazionale di UNEBA, organizzazione di categoria sociosanitaria, assistenziale ed educativa che conta oltre 900 enti associati in tutta Italia, ci spiega, senza nascondere una certa preoccupazione: «Speriamo recuperino in fretta. Ad oggi, circa il 50% del personale sanitario e degli ospiti delle RSA e RSD è stato vaccinato, ma noi abbiamo l’esigenza di completare quanto prima la somministrazione della prima dose ed avviare la fornitura della seconda nei 21 giorni prestabiliti. Solo così possiamo mettere in sicurezza i nostri anziani e disabili e sperare di uscire da questo tunnel».
Non si ferma il presidente UNEBA e per rompere l’immobilismo del momento ha avviato una serie di strategie, a cominciare proprio dall’estensione del vaccino ad un familiare dei pazienti ricoverati in RSA e RSD.
«Con le associazioni dei gestori delle strutture abbiamo scritto al Ministero della Salute per poter introdurre tra le categorie prioritarie anche un familiare per ogni ospite di RSA e RSD vaccinato – racconta -. Ora il piano prevede di vaccinare gli ospiti e gli operatori, ma c’è sempre il problema di poter garantire la presenza non solo via web dei parenti, perché sappiamo che gli ospiti delle strutture non si ammalano solo di Covid e di altre malattie, ma anche di solitudine. E siccome la gran parte di questi anziani ha problemi cognitivi, di Alzheimer o di demenza senile, è difficile spiegare loro il piano vaccinale, il Covid, l’impossibilità di abbracciare un famigliare per mesi».
Un intervento che secondo Massi dovrebbe prevedere un incremento di vaccini nell’ordine delle 310 mila unità. «Tenendo conto che molti dei parenti degli ospiti fanno già parte delle categorie over 70 e dunque già rientrano nel piano vaccinale, non si parla di numeri impossibili».
Le sfide di UNEBA per rendere sicure le strutture per anziani e disabili non si fermano al vaccino per i familiari al fine di combattere la solitudine degli ospiti, ma riguardano un secondo problema che sta emergendo in molte strutture. La “disobbedienza” degli operatori sanitari che non vogliono fare il vaccino. «Sono meno del 10% del personale. Numeri bassi, ma non trascurabili – evidenzia lo stesso presidente di UNEBA -. Oggi non esiste un obbligo vaccinale, ma è evidente che per operare a stretto contatto con persone fragili è necessario sottoporsi al vaccino. Per questo abbiamo deciso di organizzare dei colloqui con personale specializzato, infettivologi e medici competenti in grado di dialogare e convincere i dubbiosi. Devo dire che per il momento i risultati sono buoni, molti dopo aver ascoltato un medico hanno cambiato idea».
In ogni caso per coloro che continueranno a mantenere una posizione di diniego potrebbero esserci delle ripercussioni. Su questo punto Messi non ammette deroghe: «Dove è contemplata la cassa integrazione, verrà applicata a coloro che scelgono di non farsi vaccinare per tutelare al massimo i nostri ospiti. Non possiamo permetterci, di fronte ad una situazione di tale rischio, di non garantire tutte le protezioni possibili compresa la vaccinazione di chi fa servizio nelle strutture. Là dove non è contemplata, invece, potrebbe scattare l’aspettativa non retribuita».
«C’è una responsabilità sanitaria e sociale da non sottovalutare – aggiunge -. Chi lavora nelle RSA è al servizio delle persone anziane e non possiamo dimenticare che nella prima fase della pandemia i focolai sono stati portati soprattutto dagli operatori perché i parenti non potevano entrare, quindi noi dobbiamo garantire i livelli di massima sicurezza e, per fare questo, gli operatori devono vaccinarsi. È un’attività di prevenzione. Se non facessimo rispettare questo diktat andremmo a vanificare tutti gli sforzi fatti dagli stessi operatori. I protocolli di sicurezza per il personale e per il medico competente prevedono determinati requisiti tra cui dovrà essere inserito anche questo».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato