Il direttore regionale Hans Kluge parla di un rallentamento dell’epidemia in Europa e invita i Paesi ad allearsi per distribuire equamente il vaccino. Non farlo significherebbe ulteriori perdite sia umane che economiche
L’Europa è ancora molto lontana dall’ipotesi di una immunità di gregge. Ora che la seconda ondata di Covid-19 compie due mesi, i dati sulle persone già colpite dal virus nel continente si fermano a meno di 1 su 10. Lo ha fatto presente Hans Kluge, direttore regionale per l’Europa dell’Organizzazione mondiale della Sanità, riferendo anche i progressi delle ultime settimane sui nuovi contagi. Numeri in calo, dovuti alle misure restrittive, seppure lo scenario resti ancora preoccupante.
Circa 63 milioni di casi a livello globale e oltre 1,4 milioni di morti, di cui 19 milioni di contagiati e 427 mila decessi in Europa. 4 milioni di questi solo nel mese di novembre. La scorsa è stata la terza settimana consecutiva in cui i contagi sono scesi, nello specifico del 13%. «La regione rappresenta ancora il 40% dei nuovi casi globali e il 50% dei nuovi decessi globali – ha voluto specificare Kluge – poiché quasi la metà dei Paesi all’interno della regione continua a mostrare una tendenza all’aumento. Solo nella scorsa settimana sono stati segnalati oltre 35 mila nuovi decessi in tutta l’area». Ora dalla parte occidentale, la risalita sta procedendo verso est, colpendo i Paesi centrali e meridionali.
Kluge ha poi dedicato una riflessione al vaccino contro Sars-CoV-2, che mai come in queste settimane sembra vicino. «La preparazione è la chiave – ha detto -. Per assicurarci di raccogliere la piena ricompensa dobbiamo avere dei piani in atto. Fare subito il punto sullo stato della nostra preparazione, ora, prima dell’arrivo dei vaccini, è assolutamente essenziale».
Il vaccino dovrà arrivare in ogni punto d’Europa, è la richiesta del direttore regionale Oms, e dovrà già essere presente un piano per quando le prime dosi saranno diventate disponibili. «All’Oms – ha spiegato Kluge – stiamo lavorando con i Paesi per rafforzare la loro preparazione per l’introduzione del vaccino, la loro capacità della catena del freddo, ma anche su altri aspetti come il monitoraggio della sicurezza dei vaccini, la comunicazione e il coinvolgimento della comunità».
All’inizio le forniture saranno limitate in tutti i Paesi, dunque «tutti devono decidere chi dovrebbe essere vaccinato per primo per massimizzare l’impatto di dosi limitate nel ridurre il carico della malattia in ogni contesto nazionale». L’Italia che, ha detto il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, avrà il 13,5% delle prime dosi, licenzierà un piano definitivo entro fine anno. Il ministro della Salute Roberto Speranza, in Aula, ha già chiarito che saranno personale sanitario e anziani (specie se ospitati in Rsa) i primi soggetti a essere vaccinati. Una linea che molti altri Paesi europei hanno seguito, Gran Bretagna per prima, che dalla prossima settimana comincerà le vaccinazioni.
«Le nostre raccomandazioni – ha puntualizzato Kluge – sono che gli operatori sanitari e sociali, gli over 60 e gli ospiti e il personale delle strutture di assistenza a lungo termine dovrebbero avere la priorità per l’accesso ai vaccini contro Covid-19 in un contesto di offerta limitata». Ma l’operazione vaccino potrà avere successo «solo se ci assicuriamo che nessuno venga lasciato indietro e che tutti i Paesi e le comunità possano trarre vantaggio dall’accesso a questa tecnologia salvavita».
Il riferimento di Kluge è molto chiaro e si basa sui dati di un recente rapporto del Gruppo Eurasia che ha stimolato anche l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il quale evidenzia, con convinzione, che un accesso equo ai vaccini per tutto il mondo possa significare anche importanti vantaggi economici. Mentre lasciare indietro i Paesi meno sviluppati – e dar così possibilità alla pandemia di proseguire – comporterebbe una battuta d’arresto per le economie avanzate.
Nel rapporto vengono analizzati 10 Paesi – Canada, Francia, Germania, Giappone, Qatar, Corea del Sud, Svezia, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti – valutando i benefici legati all’adesione ad Act Accelerator, la collaborazione globale che supporta lo sviluppo e la distribuzione equa di test, farmaci e vaccini anti-Covid.
La condivisione equa si tradurrebbe in 153 miliardi di dollari di benefici nel 2020-21, che salirebbero a 466 miliardi entro il 2025. Il programma Act Accelerator sta facendo i conti con un deficit di finanziamento significativo di 28,2 miliardi di dollari, con 4,3 miliardi di dollari «necessari urgentemente per accelerare» su aree critiche. Altrimenti, fa sapere l’Oms, i Paesi a reddito basso e medio accederanno tardi ai vaccini, la pandemia si protrarrà e con essa anche il peso sull’economia globale.
«Act Accelerator – ha detto Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms – è la soluzione globale per porre fine alla fase acuta della pandemia il più rapidamente possibile, garantendo un accesso equo agli strumenti Covid-19. Contribuire ad Act Accelerator non è solo la cosa giusta da fare, è la cosa più intelligente per tutti i Paesi, socialmente, economicamente e politicamente».
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