Scattano le misure di profilassi in tutto l’ospedale di Senigallia. «Un grande rischio per i pazienti oltre che per medici ed operatori sanitari, abbiamo il dovere di garantire la sicurezza» interviene Federico Gelli, il Responsabile Sanità del Pd
Un caso di morbillo tra il personale dell’ospedale di Senigallia. Un’ostetrica non vaccinata del reparto di Ostetricia e Ginecologia infatti ha contratto la malattia. La donna era assente dal lavoro per malattia dal 20 agosto. La direzione sanitaria, informata del caso il 25 agosto, lo ha poi segnalato al servizio Malattie Infettive del dipartimento di prevenzione che ha subito avviato l’indagine epidemiologica con l’ausilio della direzione medica dell’ospedale.
Vista la necessità di ricostruire rapidamente i contatti avuti dall’ostetrica malata nei giorni della probabile incubazione della malattia, è stato costituito un primo gruppo di lavoro con la partecipazione dei medici del dipartimento di prevenzione, la direzione infermieristica per turni operatori, il Pronto soccorso, la Direzione medica ospedaliera, la Divisione ostetricia e la Pediatria. Seguendo quanto previsto dalle procedure dettate dalle circolari del Ministero della Salute, sono state contattate telefonicamente le donne che risultavano aver avuto contatti con l’ostetrica malata. Sono state date informazioni, disponibilità telefonica per eventuali perplessità o dubbi, verifica anamnestica dello stato immunitario e inviti alla vaccinazione. Previsti anche un percorso ed ambienti dedicati per un’eventuale terapia con immunoglobuline, nei casi previsti dalle indicazioni ministeriali.
«Serve una legge che estenda l’obbligo della vaccinazione anche a tutto il personale sanitario». Lo dichiara Federico Gelli, deputato e responsabile sanità Pd, che commenta così il caso dell’ostetrica di Senigallia colpita da morbillo. «Non possiamo trovarci a dover commentare situazioni che rappresentano un rischio non solo per tutti i pazienti che si affidano al nostro sistema sanitario, ma anche per gli operatori che in questo modo non possono lavorare con serenità», nota. «Non possiamo più permetterci il lusso di appellarci al senso di responsabilità di chi lavora – aggiunge Gelli – abbiamo il dovere di garantire il massimo livello di sicurezza per chi si affida alle strutture sanitarie, soprattutto se pubbliche. In questo caso inoltre il rischio di contagio è elevatissimo e va a colpire donne in gravidanza e ciò può comportare gravi conseguenze per il feto».