Individuata in Gran Bretagna una nuova mutazione di Sars-CoV-2 che mostrerebbe maggiore trasmissibilità. L’indicazione internazionale è di frenarne la diffusione, ma gli esperti ribadiscono che non dovrebbe inficiare l’efficacia dei vaccini già pronti
Alla base dei sospetti c’è un aumento insolitamente rapido dei nuovi casi di Covid-19 nel sud-est dell’Inghilterra, una scia che ha costretto a indagini epidemiologiche sul genoma virale dei nuovi contagiati. Il risultato dell’analisi è stata la sequenza della “variante inglese” di Sars-CoV-2, riscontrata nella maggior parte dei pazienti.
Al suo interno si rilevano multiple mutazioni della proteina spike, di cui la più famosa è la N501Y, secondo uno studio dell’European Center for Disease Control (ECDC). Non è una novità, come riferiscono gli esperti, che un virus muti in nuove varianti. Si tratta di un comportamento tipico che utilizza per adattarsi meglio alle altre specie. Quel che si deduce finora dalla variante inglese è che sia «significativamente più trasmissibile rispetto alle varianti circolanti in precedenza». Con un potenziale stimato per aumentare il numero riproduttivo (R) di 0,4 o superiore con una trasmissibilità stimata aumentata fino al 70%. «Non vi è alcuna indicazione a questo punto di aumento della gravità dell’infezione associata alla nuova variante» precisa il report.
Dal Regno Unito, alcuni casi con la nuova variante sono stati segnalati in Danimarca e nei Paesi Bassi e, secondo quanto riportato dai media, in Belgio. Da allora molti Paesi europei hanno bloccato i voli da e per la regione inglese, tra questi anche l’Italia. Dove ieri il Dipartimento Scientifico del Policlinico Militare del Celio di Roma, che in questa emergenza sta collaborando con l’Istituto Superiore della Sanità, ha sequenziato proprio la variante in un paziente. Questa persona e il suo convivente, rientrati dalla Gran Bretagna, sono in isolamento e hanno seguito le procedure necessarie con tutti gli altri contatti stretti.
L’Ecdc ribadisce alcune misure necessarie ora che la variante è ancora in studio:
Ora la preoccupazione più grande riguarda l’effetto che questa mutazione potrà avere sui vaccini già pronti. Gli esperti escludono questa possibilità per la maggior parte. Sebbene siano necessarie ulteriori indagini.
«I virus mutati sono comunque un’evenienza che si è già verificata in questa pandemia, portando all’avvicendarsi dei ceppi predominanti in vari periodi e in vari territori», fanno sapere dalla direzione sanitaria dell’Inmi Spallanzani di Roma. Ad esempio, «subito dopo l’estate il ceppo predominante in Europa, compresa l’Italia, è stata una variante probabilmente introdotta dalla Spagna. È verosimile che in futuro si possano verificare altre varianti che saranno da sorvegliare con attenzione per verificare i cambiamenti di rilievo».
«È altamente improbabile che la nuova variante Gb di coronavirus Sars-CoV-2 che si sta diffondendo in altri Paesi europei ed è arrivata anche in Italia mostri “resistenza in termini di formazione di un’immunità” e quindi risulti invulnerabile ai vaccini anti-Covid in arrivo». Ha voluto rassicurare anche Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità (Css), intervenuto a “Buongiorno” su SkyTg24.
«I vaccini che vengono sviluppati impiegando differenti piattaforme – ha aggiunto Locatelli – determinano la formazione di una risposta immunitaria contro diversi “pezzettini” della proteina Spike di Sars-CoV-2, quella che il virus utilizza per attaccare le cellule bersaglio. Quindi, se anche c’è una mutazione in uno, due o tre di questi pezzettini di Spike, è altamente improbabile che il vaccino possa risultare poi inefficace».
Dello stesso parere anche il professor Massimo Andreoni, dir. Uoc malattie infettive Tor Vergata, intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”. «La mia sensazione è che questa variante abbia un impatto modesto sul vaccino. È una discussione che se si fosse tenuta su tavoli scientifici anziché sui media forse sarebbe stato più intelligente, perché soprattutto in una fase in cui dobbiamo convincere le persone a vaccinarsi, non è il caso di creare tutte queste preoccupazioni e questi dubbi».
«È normale che i media debbano dare la notizia, mi lamento con la parte scientifica che prima di dare certe notizie dovrebbe avere dati sufficienti. Da quei pochi dati che abbiamo a disposizione, questa modificazione della proteina spike sembrerebbe essere modesta e quindi non determinare la necessità di un cambiamento del vaccino. E ormai il vaccino si è capito come farlo, quindi anche se fosse necessario un nuovo vaccino sapremmo farlo rapidamente», ha aggiunto.
«Questa sarà la decima-quindicesima variante del virus di cui si parla. Adesso si descrive una variante che si trasmette più facilmente. La mia impressione è che questo è un virus Rna quindi ha una grande capacità a mutare per sua natura. Se si diffonde un po’ di più, ma clinicamente non è più aggressivo è interessante, ma non merita tutto il clamore che gli viene dato. Ai fini della cura dovrebbe rispondere ai pochi farmaci che abbiamo in questo momento a disposizione», ha concluso.
Oms: «Alcuni test meno efficaci con variante inglese»
Una delle 14 mutazioni che caratterizzano la variante Gb del coronavirus Sars-CoV-2 potrebbe, inoltre, creare qualche problema anche sul fronte della diagnosi di Covid-19: è stato osservato infatti che rende meno efficaci alcune tipologie di test. A segnalarlo è stata l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), facendo il punto sulla situazione, su quanto si sa al momento sulla variante inglese e su quello che si sta facendo per ampliare le conoscenze.
Precisamente è «la delezione in posizione 69/70, influisce sulle performance di quelli che utilizzano come bersaglio il gene S (Spike)» che fa paura. Ma l’Oms rassicura: «La maggior parte dei test Pcr in tutto il mondo utilizza più target e quindi non si prevede che l’impatto della variante sulla diagnostica sia significativo».
«Si consiglia ai laboratori che utilizzano kit Pcr commerciali per i quali i geni virali presi di mira non vengono chiaramente identificati nelle istruzioni di contattare il produttore per ulteriori informazioni. Anche i laboratori che utilizzano test Pcr interni che prendono di mira il gene S del virus dovrebbero essere consapevoli di questo potenziale problema. Al fine di limitare l’impatto sulle capacità di rilevamento dell’infezione nei Paesi, si raccomanda anche un approccio che utilizza diversi saggi in parallelo o saggi multipli, mirati a diversi geni virali, per consentire il rilevamento di potenziali varianti», avverte.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato