Presentato il Consorzio italiano per la genotipizzazione e fenotipizzazione del virus Sars-CoV-2. Il direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare del Policlinico di Milano: «La sorveglianza epidemiologica continua dei genomi circolanti nel territorio è fondamentale»
Con l’identificazione del primo caso di variante brasiliana del coronavirus a Varese – un uomo di 33 anni asintomatico che è rientrato nei giorni scorsi da San Paolo via Madrid – i vaccini oggi in commercio potrebbero essere più vulnerabili. Infatti, se è stato dimostrato che le dosi prodotte da Pfizer, Moderna e AstraZeneca proteggono dalla variante inglese (altamente contagiosa e, sembra, un poco più mortale delle precedenti in circolazione), lo stesso non si può dire delle ultime apparse nel panorama mondiale, ovvero la brasiliana e la sud-africana. Per questo ieri è stato presentato il Consorzio italiano per la genotipizzazione e fenotipizzazione del virus Sars-CoV-2, che permetterà di seguire l’evoluzione del coronavirus e di monitorare la risposta immunitaria alla vaccinazione.
Sergio Abrignani, professore ordinario di Immunologia dell’Università Statale e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare Invernizzi del Policlinico di Milano, anticipa a Sanità Informazione: «Uno studio completato qualche giorno fa e non ancora reso pubblico mostra come nelle varianti brasiliana e sudafricana la proteina Spike sia in grado di mutare ancor più rapidamente e dunque di sfuggire all’effetto neutralizzante del vaccino. Se così fosse – aggiunge – sarebbe necessario un nuovo vaccino in grado, in un’unica dose, di azzerare gli effetti della variante».
Una notizia non certo confortante, in un momento in cui già è difficile reperire sul mercato le dosi per vaccinare tutta la popolazione e si discute se è meglio vaccinare con due dosi meno persone – scelta adottata in Italia – o dare una copertura parziale a più persone, come stanno facendo la Gran Bretagna e il Canada. Il rischio di vanificare in ogni caso tutto il lavoro per colpa della nuova variante che, come ammette l’immunologo, «viaggia molto rapidamente e sottotraccia potrebbe già essere presente in più zone del Paese», è alto.
Ma lo stesso professore dell’Università Statale di Milano rassicura: «La buona notizia è che oggi le aziende farmaceutiche sono in grado di produrre in 6 o 7 settimane un vaccino, senza dover ripartire da zero. Di sicuro sia Pfizer che Moderna oggi stanno già lavorando con esperimenti in laboratorio, per essere pronti con un vaccino in grado di neutralizzare anche le varianti nel momento in cui dovessero diventare dominanti. Per il momento si stanno facendo esperimenti in laboratorio, ma se le due varianti dovessero diffondersi ci sarebbe un vaccino già pronto da somministrare in una sola dose a chi è già stato vaccinato e in due dosi a chi ancora non lo è. In ogni caso la copertura sarebbe totale».
Un virus dunque camaleontico che continua a sfidarci e a mutare pelle per non farsi annientare. E allora, secondo l’immunologo, è fondamentale essere rapidi per riconoscere le possibili varianti. «A questo punto discutere sui ritardi di Pfizer è inutile – ammette Abrignani –, meglio concentraci su un monitoraggio diffuso di tutte le varianti. Cosa che già si sta facendo, e il lavoro prodotto dai ricercatori dell’Università Statale di Milano con i colleghi del Policlinico San Matteo di Pavia e dell’Ospedale Niguarda di Milano con la scoperta delle sette varianti presenti in Lombardia nei mesi di marzo e aprile lo dimostrano. Ma è importante implementare le energie in quella direzione con una sorveglianza epidemiologica continua dei genomi circolanti nel territorio, per sequenziare i virus e riconoscere nuove mutazioni italiane».
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