Screening neonatale evidenzia aumento esponenziale casi di bambini con carenza di vitamina B12. Il professore dell’ospedale pediatrico romano: «È un fattore di rischio per lo sviluppo di problematiche neurologiche, neurocognitive e neurocomportamentali»
La dieta vegana tornata a far parlare di sé. Questa volta però è finita sotto la lente di ingrandimento dei medici degli ospedali Bambino Gesù e Meyer di Firenze, due eccellenze della pediatria italiana. Secondo i dati dei rapporti tecnici della Simmesn (Società Italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale) sono triplicati in due anni i casi di deficit di vitamina B12 in gravidanza con il rischio di danni neurologici permanenti per il neonato. Si è passati dai 42 casi del 2015 ai 126 del 2016. I numeri in assoluto sono bassi ma la crescita è stata definita «allarmante».
Ne abbiamo parlato con il professor Carlo Dionisi Vici, responsabile di Patologia Metabolica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che a Sanità Informazione lancia un monito a pediatri e ginecologi: «Attenzione alle condizioni carenziali, attenzione a determinate scelte alimentari come la dieta vegana che possono essere povere di determinati nutrienti essenziali, non solo di vitamina B12 ma anche di acidi grassi essenziali contenuti nei prodotti di derivazione animale. Tutte queste cose possono mettere il bambino in una condizione non ottimale per il suo sviluppo neurologico ed ematologico nella sua crescita».
Professore, perché una dieta vegana o vegetariana può far male al feto?
«Innanzitutto dobbiamo fare un passo indietro. Il mondo della pediatria preventiva l’anno scorso ha avuto una legge che ha reso obbligatorio lo screening neonatale per valutare il peso delle malattie metaboliche. Questo screening nel corso degli anni (è diventato obbligatorio l’anno scorso ma è già da diversi anni che viene fatto) è in grado anche di intercettare queste condizioni carenziali di vitamina B12, ovviamente secondarie, non legate ad una malattia metabolica primitiva, e queste condizioni secondarie possono essere legate a una carenza vitaminica materna vuoi per motivi nutrizionali, quando la mamma non assume adeguate quantità di vitamina B12, e vuoi per una condizione specifica. Negli anni, facendo lo screening neonatale, si è osservato un crescente numero di bambini che alla nascita avevano una condizione di carenza di vitamina B12 di natura materna. Questo è certamente un elemento importante, perché il problema della carenza di B12 visto nel bambino più grande, quando non prende adeguati supplementi di vitamina B12 o non prende una adeguata alimentazione, può creare effettivamente dei danni neurologici come è successo in alcuni bambini che sono stati ricoverati per condizioni di ritardo nello sviluppo psicomotorio, di anemia grave. Il che significa che, se protratto nel tempo, tutto questo fa male al bambino. D’altronde è indispensabile che il bambino riceva un’alimentazione bilanciata che garantisca tutti i nutrienti essenziali».
È sufficiente un’integrazione o una dieta che comprenda proteine animali è comunque insostituibile?
«La dieta bilanciata è insostituibile. Bilanciata significa che contenga tutti i nutrienti essenziale. Il mio compito non è quello di dare un giudizio sulla qualità della dieta, della scelta ideologica sulla dieta. L’importante è che questa dieta copra tutto quello che serve. Se noi siamo alla nascita carenti di vitamina B12 evidentemente qualcosa che non va c’è già nella crescita del feto. Quindi vuol dire che noi dobbiamo allertare il mondo dei pediatri e dei ginecologi sulla possibilità che ci siano delle condizioni alimentari materne che possano portare a una carenza di vitamina B12. Questa carenza è certamente un fattore di rischio per lo sviluppo di problematiche neurologiche, neurocognitive, neurocomportamentali. Se protratta, il bambino deve essere seguito e alimentato in maniera tale che non venga sottoposto a una dieta che lo privi di alimenti essenziali».
I numeri per il momento sono bassi…
«Sono bassi, per fortuna. Lo screening ha evidenziato nel 2016 che, sui 270mila neonati che erano stati sottoposti a screening, erano stati individuati 120 bambini con una carenza di vitamina B12. Questo vuol dire che quei 120 bambini per fortuna sono stati identificati e in qualche modo sono stati immediatamente tracciati e allertata la famiglia della necessità di aggiungere, attraverso una dieta adeguata del bambino, vitamina B12. Il messaggio ai pediatri è: attenzione alle condizioni carenziali, attenzione a determinate scelte alimentari quali la dieta vegana che possono essere povere di determinati nutrienti essenziali, non solo di vitamina B12 ma anche acidi grassi essenziali contenuti nei prodotti di derivazione animale. Tutte queste cose possono mettere il bambino in una condizione non ottimale per il suo sviluppo neurologico ed ematologico nella sua crescita».
Dallo screening sono emersi altri dati significativi?
«Ci sono i dati relativi alle malattie metaboliche. Lo screening non è stato fatto per rintracciare i difetti di vitamina B12, è stato fatto per rintracciare metaboliche ereditarie che sono patologie molto importanti, malattie isometriche, malattie rare che possono essere suscettibili di una terapia. Il problema della vitamina B12 è un riscontro occasionale, un qualcosa che ci siamo trovati nel mondo scientifico ad affrontare nel momento in cui lo screening ha evidenziato anche questo tipo di carenze. L’attenzione della società è stata quella di rendere pubblico questo dato è far sì che il mondo dei pediatri e il mondo dei genitori siano allertati al rischio di una carenza di vitamina B12».