Solo il vaccino anti-Covid in Italia, in 12 mesi, ha evitato circa 22mila decessi. Al Convegno “La scienza contro le malattie infettive” un viaggio tra i vaccini e i farmaci antiretrovirali che hanno cambiato il corso della storia, contenendo o eradicando i “grandi” virus
Era il 14 maggio del 1796 quando Edward Jenner somministrò il primo prototipo di vaccino nel braccio di un bambino di 8 anni. Jenner aveva prelevato una piccola quantità di materiale purulento dalle ferite di una donna malata di Vaiuolo Vaccino, la forma di Vaiolo che colpiva i bovini. Lo scienziato aveva intuito che gli allevatori colpiti dalla variante bovina della patologia, che si manifestava in forma cutanea lieve, non contraevano la variante umana, più grave e mortale. Nonostante l’iniziale riluttanza del mondo scientifico (Jenner pubblicò i risultati del suo studio a sue spese), in poco tempo furono vaccinate oltre 100mila persone in tutta Europa. Nel 1805 Napoleone rese obbligatoria la vaccinazione a tutte le sue truppe e l’anno successivo fu estesa all’intera popolazione francese.
Oggi, a distanza di oltre due secoli, di vaccini ne abbiamo a disposizione 27, farmaci in grado di prevenire 2 milioni e mezzo di morti, nel mondo, ogni anno. Solo quello anti-Covid in Italia, nell’ultimo anno, ha evitato circa 22mila decessi (dati ISS). L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che la vaccinazione anti-Covid ha scongiurato il 51% dei decessi prevedibili in Europa e migliaia di nuovi casi, circa 445mila solo in Italia.
Sono questi alcuni dei dati di cui si è discusso durante il Convegno “La Scienza contro le malattie infettive”, patrocinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Osservatorio Salute. «Che i vaccini abbiamo salvato e continuino a salvare milioni di vite è un dato di fatto. Per comprendere la differenza tra averne a disposizione e non averne è sufficiente guardare il tasso di mortalità infantile che nei Paesi più poveri della terra è ancora drammaticamente elevato», spiega Stefano Vella, Italian Delegation, Horizon Europe (Health Cluster) European Commission, medico, accademico italiano, infettivologo, ricercatore e coordinatore scientifico del Convegno.
I vaccini non sono l’unica arma che la scienza ha a disposizione contro le malattie infettive: a cambiare la storia dei virus a larga diffusione, come l’HIV o l’Epatite C, sono stati i farmaci antiretrovirali. Il primo farmaco antiretrovirale per l’HIV è stato approvato nel 1987: si tratta dell’azidotimidina (AZT), un inibitore della trascrittasi inversa (RTI).
«I trattamenti che oggi abbiamo a disposizione per l’HIV non permettono l’eradicazione del virus – spiega Vella – ma consentono al paziente infetto di non trasmettere il virus e di avere un’aspettativa di vita normale. Purtroppo, ad oggi, non è stato possibile trovare un vaccino efficace contro l’HIV, poiché questo virus, entrando nell’organismo umano, ha la capacità di integrarsi con le cellule che attacca. Tuttavia, nei Paesi poveri, nonostante la disponibilità delle cure, si continua a morire di AIDS. Anche per l’Epatite C non abbiamo un vaccino, ma disponiamo di farmaci in grado di eradicare la malattia (e non solo di trattarla come per il virus dell’HIV)», aggiunge l’infettivologo.
Nei Paesi del terzo mondo a preoccupare non è solo la poca diffusione di questi farmaci di ultima generazione, ma anche dei vaccini più “elementari”: «Sono milioni i bambini che non hanno la possibilità di vaccinarsi nemmeno contro il tetano o la difterite», denuncia Vella. In Italia, il vaccino contro difterite, tetano e pertosse (DTPa) rientra tra le vaccinazioni obbligatorie e la prima dose, generalmente, viene somministrata tra il secondo e il terzo mese di vita. Grazie all’obbligatorietà vaccinale, la cui ultima modifica risale al 2017, in Italia l’aderenza è nettamente migliorata negli anni, contribuendo all’eradicazione di alcune malattie (l’Italia è polio free dal 2002) e alla diminuzione dei focolai di altri virus pericolosi per la salute umana (come il morbillo).
Per altri vaccini, consigliati ma non obbligatori, l’aderenza è ancora piuttosto scarsa. «Pensiamo alle vaccinazioni contro Herpes Zoster e Pneumococco, fondamentali per gli anziani e troppo spesso sottovalutate – dice Vella -. Per non parlare del vaccino contro l’HPV, anti-papilloma virus, raccomandato per le ragazze intorno ai 12 anni, ma che dovrebbe essere esteso anche al sesso maschile troppo spesso veicolo del virus. Si tratta di un vaccino importante che non protegge solo dall’infezione in sé, ma anche dalle forme di cancro che ne possono derivare, come quello alla cervice dell’utero». Inoltre, sono sempre più numerose le prove che dimostrano come il papilloma virus abbia un ruolo anche in altri tipi di cancro, non solo femminili e non solo dell’area genitale.
«Sono 27 i vaccini che attualmente abbiamo a disposizione. Ne mancano all’appello ancora una ventina – aggiunge Vella -. Oggi, ad esempio, non esiste un “vero” vaccino contro la tubercolosi: il vaccino con BCG, risalente al 1921, è l’unico disponibile». Costituito da un ceppo vivo attenuato, non può essere utilizzato nei lattanti con HIV, in cui può replicare e determinare la malattia. La variabilità dell’efficacia protettiva è il suo secondo limite: nei bambini, più alta rispetto agli adulti, è di circa il 50%. Anche per la prevenzione della malaria c’è ancora tanta strada da fare: «Il primo vaccino contro la malaria è recentissimo ed è efficace solo nei bambini. Ancora non abbiamo a disposizione vaccini contro le malattie tropicali. Ma – conclude Vella – cominciare ad utilizzare a pieno i vaccini già a nostra disposizione sarebbe già un primo ed importante traguardo».
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