Salute 13 Ottobre 2020 17:35

Viaggio nelle terapie intensive d’Italia, i racconti degli anestesisti: «Non sappiamo se reggeremo»

I letti in terapia intensiva tornano a riempirsi e anestesisti e rianimatori temono di non riuscire a sostenere il colpo, anche da un punto di vista emotivo. Chi lotta per salvare i casi gravi descrive ciò che sta avvenendo in Lombardia, Lazio, Campania, Puglia e Calabria

Viaggio nelle terapie intensive d’Italia, i racconti degli anestesisti: «Non sappiamo se reggeremo»

Sono 514 i posti in terapia intensiva attualmente occupati dai malati di Covid-19 in Italia. Solo nella giornata di oggi l’indice ha segnato cifra +62, quando ad agosto il totale era 53. Attualmente solo tre regioni sarebbero in grado di rispondere alla soglia di sicurezza fissata dal governo lo scorso maggio con il Dl Rilancio. Sono Friuli Venezia Giulia, Veneto e Valle d’Aosta, che riferiscono 14 posti letto per 100 mila abitanti, mentre i numeri si abbassano per le altre. Dai 12,7 del Lazio ai 7,3 della Campania, una delle più colpite da quella che ormai si configura con certezza come la seconda ondata nel Belpaese.

Durante l’estate le Regioni hanno aggiunto 1279 nuovi posti letto, portando il totale a 6458. Senza dimenticare, però, che la terapia intensiva non può e non deve ospitare solo pazienti Covid, e che le differenze regionali non possono essere cancellate dal numero totale. Il timore che le cifre possano salire pericolosamente non è solo del Governo, ma ricade anche sui professionisti della sanità impegnati ogni giorno per salvare vite. Da Nord a Sud un’Italia che racconta i nuovi ingressi e i nuovi rischi, sopportando insieme il peso lavorativo e quello emotivo di un’emergenza che non finisce.

Sanità Informazione ha raggiunto alcuni presidenti regionali di Aaroi-Emac (Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani – Emergenza Area Critica), per un bilancio sull’attualità.

LOMBARDIA

«L’età media dei ricoverati in intensiva si è abbassata di circa 10 anni rispetto ai primi mesi, ma la gravità è esattamente la stessa». La dottoressa Cristina Mascheroni, presidente Aaroi-Emac Lombardia, è stata al centro del ciclone da marzo a maggio. Ospedali pieni, nuovi casi in perenne aumento e tanti morti senza aver potuto salutare i propri cari. Ora, finalmente, quelle sensazioni sembrano più lontane, ma la guardia non può abbassarsi.

«I ricoveri in terapia intensiva stanno piano piano aumentando – spiega Mascheroni -, ma non siamo ancora in fase di allerta. Riusciamo a sopperire alle richieste, ma se dovessero aumentare ancora l’attenzione dovrà risalire al massimo». Nonostante i casi più giovani, le forme gravi continuano a crescere organicamente con l’aumento dei contagi. Anche se è presto per parlare di mortalità. «Vista la durata media di un ricovero in terapia intensiva per paziente Covid, non abbiamo ancora dati significativi», chiarisce. «La Lombardia – continua – ha un numero più alto di posti letto in intensiva rispetto ad alcune regioni del Sud, senza contare che c’era l’ipotesi di poter riaprire anche l’ospedale in fiera».

«Non c’è certezza che le cose andranno meglio rispetto al primo trimestre, se non prendiamo le adeguate precauzioni», aggiunge. Anche se i professionisti della sanità ora conoscono meglio “il nemico” e ogni regione ha creato un piano d’allerta «per non essere colti impreparati», il virus resta imprevedibile.

«Siamo preoccupati perché siamo stanchi», racconta Mascheroni, e in quel “noi” comprende tutti quei camici bianchi che da mesi senza sosta affrontano il volto peggiore della pandemia. «Non sappiamo se riusciremo a reggere l’impatto emotivo di un’altra ondata con la portata della prima – prosegue -. L’idea di tornare in quel periodo preoccupa tutti. Stiamo uscendo adesso dal burnout e dallo stress post-traumatico di quel periodo».

«Distanziamento e mascherine a oggi sono l’unica terapia che sappiamo effettivamente funzioni fino al vaccino – conclude -. Stiamo andando nella linea corretta, anche per evitare un secondo lockdown. Ma gli stati vicini a noi mostrano un chiarissimo peggioramento della situazione epidemica, che non possiamo ignorare».

LAZIO

Anche il Lazio in questi giorni è stato al centro delle discussioni, per un improvviso e costante aumento dei casi, specie nella Capitale. La situazione è «gestibile, siamo lontani dalla possibile occupazione di tutti i posti». A raccontarlo è Quirino Piacevoli, presidente Aaroi-Emac Lazio.

Oggi la regione ha superato un milione di tamponi effettuati. In terapia intensiva arrivano nuovi malati ma, secondo Piacevoli, qualcosa è cambiato. «La carica virale è diminuita – spiega – le persone che si trovano in ospedale sono di meno rispetto al periodo terribile relativo all’inizio della pandemia. È un dato di fatto ormai accertato. Il virus però è sempre lo stesso, e non conosciamo ancora molte cose, stiamo indagando la mutazione e la durata, abbiamo casi accertati di reinfezione a livello mondiale».

Ma i primi mesi della pandemia sono lontani, di questo è sicuro. «Basta rivedere i video – dice – non si sapeva dove mettere i malati, erano alloggiati nei corridoi, c’erano anche mille ingressi al giorno. Ogni malato portava un’enorme carica virale che sommata per tutte quelle persone innescava una bomba esplosiva. Oggi non c’è sovraccarico e ciò fa sì che i malati siano meglio curati. Nel frattempo ci sono state anche 25 mila pubblicazioni».

Ora l’inverno nel Lazio sarà difficile, secondo Piacevoli, ma guidato da un solo comandamento. «La parola d’ordine è prevenire – spiega -, usare tutte le norme possibili per evitare il lockdown totale. Il problema è che noi lo stiamo facendo, ma molti Paesi intorno a noi no. Il virus viaggia e viaggia in modo veloce e questo può essere un pericolo: Usa, Russia, Brasile e India sono fuori controllo».

CAMPANIA

«Al momento la situazione è relativamente accettabile, abbiamo circa 110-120 posti letto per Covid-19 dedicati e ne abbiamo occupati 40», Giuseppe Galano è direttore del 118 Napoli e presidente dell’Aaroi-Emac Campania. Negli ospedali sta osservando, da qualche settimana, nuovi arrivi e ricoveri che riportano indietro la lancetta a prima dell’estate. Ma, rassicura: «La seconda ondata è più per una media e bassa intensità di cura, per media intendo una sub-intensiva dove c’è un’assistenza respiratoria non invasiva».

A marzo, invece, arrivavano pazienti troppo in là per essere curati. «Erano già in fase acuta e critica – continua – e le terapie intensive erano completamente occupate. Adesso l’intervento è precoce, come terapia si interviene sulle conseguenze dell’infezione e sulla micro-embolia causata dall’infiammazione».

Ora però i prossimi mesi vedranno anche l’arrivo dell’influenza che, secondo Galano, potrebbe essere un ulteriore ostacolo che nella prima fase non c’era. «La sintomatologia – spiega – sarà identica, per cui se non c’è uno screening di massa la distinzione sarà difficile o si farà solo a richiesta. Ci aspettiamo delle richieste di soccorso che a volte si confonderanno con la sintomatologia influenzale. Ci auspichiamo una prevenzione vaccinale che possa in parte escludere la sintomatologia influenzale, anche perché non è detto che chi prende l’influenza non si prenda il Covid».

Alla programmazione di vaccini, il presidente Campania si augura venga affiancato anche un importante filtro territoriale. «C’è carenza di anestesisti – ribadisce – quindi l’aiuto di medicina generale e guardia medica deve essere centrale. Bisognerà gestire il paziente a domicilio nella media-bassa gravità, in modo da non incidere pericolosamente sull’ospedale»

PUGLIA

«In Puglia abbiamo a disposizione 304 posti in rianimazione. Al massimo metà del totale può essere dedicata a Covid e per ora sembra ancora gestibile», racconta il dottor Antonio Amendola, presidente Aaroi-Emac Puglia. «Non si può pensare di calcolare ogni posto letto per i casi gravi di Sars-CoV-2 né di poter mischiare nelle terapie intensive casi contagiati e non», aggiunge.

Quello che espone Amendola è un problema comune a molte strutture del Sud-Italia e non solo. I percorsi Covid e le opportune separazioni tra le zone ospedaliere dedicate ai contagiati e quelle non, non sono sempre facilmente possibili. «Aumenta così il rischio di involontario contagio interno, che potenzialmente è il problema maggiore», spiega il dottore.

In Puglia chi arriva in rianimazione è più giovane di qualche mese fa, «anche perché gli over 65 si proteggono di più dei giovani, comprendendo meglio il rischio». Ma la «gravità non è cambiata», e sapendo questo ritornare a numeri più alti senza il filtro del lockdown spaventa i professionisti in terapia intensiva.

«È stato un anno molto duro, è vero – aggiunge Amendola – ma lo è stato ancora di più per i colleghi anestesisti-rianimatori di alcune regioni del Nord, che hanno subito il vero assalto del virus nella prima fase. Lì la situazione psicologica è stata sottoposta a un durissimo stress, anche per le convulse decisioni che sono state prese quando c’era un afflusso ininterrotto di pazienti», dice riecheggiando quanto riportato dalla dottoressa Mascheroni.

«La Puglia non ha subito una prima ondata di quella portata, perché siamo stati salvati dal lockdown. Ora però il lockdown non c’è e la maggiore preoccupazione è legata alla crescita della curva e a quella che va a incidere sulle rianimazioni. Al Sud – prosegue – abbiamo una situazione peggiore rispetto alle altre regioni d’Italia per l’organizzazione sanitaria, oltre ad avere una minore percentuale di posti letto in sub-intensiva e intensiva. Un’impennata pari a un quinto di quella subita a marzo in Lombardia da noi sarebbe attualmente un disastro».

CALABRIA

«La situazione è assolutamente sovrapponibile a quella ex ante: abbiamo 107 posti in terapia intensiva. Ne è stato adibito qualcuno in più, altri possono essere ricavati dalla rapida conversione di altri reparti, ma in questo lasso di tempo non è stato fatto niente» delinea per la Calabria il dottor Domenico Minniti, presidente regionale Aaroi-Emac.

In Calabria la seconda ondata sta arrivando più lentamente, rispettando il ritmo più lento che già si era prefigurato nei primi mesi. «Per fortuna non siamo stati assolutamente colpiti dalla prima ondata – prosegue Minniti – le nostre terapie intensive non sono andate mai in crisi. È andata invece in crisi l’offerta sanitaria per i pazienti non Covid: per tutti coloro che necessitavano di interventi durante il periodo più concitato».

«Speriamo che si continui così – dice – e che non succeda niente, perché non saremmo in grado di fronteggiare una marea montante come quella della Lombardia. Ma probabilmente non saremmo in grado nemmeno di fronteggiare numeri inferiori».

La Calabria ha ancora profondi vulnus nella propria sanità e carenze derivate da tagli antecedenti, mai recuperati. «Mancano i posti di terapia intensiva – snocciola Minniti – ma anche ammesso che riuscissero a farne di nuovi, che venissero raddoppiati, noi comunque ci troveremmo in difetto di personale: di medici, medici anestesisti rianimatori, infermieri».

«Avremmo bisogno di un centinaio di anestesisti-rianimatori per garantire la normalità extra-Covid. È palpabile anche la mancanza di organizzazione e pianificazione. Da questo punto – conclude – siamo davvero all’anno zero».

 

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