In Italia sono 4 milioni i portatori di lenti a contatto, oltre la metà dei quali hanno meno di 30 anni. Per tutti il nemico numero uno è l’Acanthamoeba, un patogeno responsabile di cheratiti molto gravi. Il presidente della SICSSO: «Fino al 50% dei casi non si guarisce con le terapie mediche e i pazienti sono costretti a sottoporsi a trapianto di cornea, purtroppo non sempre risolutivo»
«Togliere le lenti a contatto prima di fare la doccia o di tuffarsi al mare, al lago o in piscina». Non è un consiglio, ma un imperativo categorico dettato da Vincenzo Sarnicola, presidente della SICSSO (l’International Society of Cornea, Stem Cells and Ocular Science) e membro del consiglio direttivo della Società Italiana Scienze Oftalmologiche (S.I.S.O.). «L’acqua – spiega lo specialista – potrebbe essere contaminata da patogeni in grado di provocare infezioni ai nostri occhi, anche gravissime e, in alcuni casi, dai danni irreversibili».
In Italia sono 4 milioni i portatori di lenti a contatto e in oltre la metà dei casi si tratta di persone giovani o giovanissime con meno di 30 anni. «Numero che durante la stagione estiva tende ad aumentare ulteriormente – dice il professore – perché in molti optano per questo strumento formidabile che permette di correggere i difetti visivi e consente di vivere con maggiore libertà la bella stagione».
Il nemico numero uno dei portatori di lenti a contatto si chiama Acanthamoeba, un parassita diffusissimo soprattutto nelle acque. «In Italia – dice Sarnicola – si stima sia responsabile di un numero di cheratiti che varia tra le 400 e le 600, con una maggiore incidenza durante la stagione estiva e un aumento generale di casi negli ultimi anni».
Due le cause che contribuiscono alla maggiore diffusione della Acanthamoeba: un uso sempre più diffuso delle lenti a contatto e maggiore aggressività del patogeno. «Se fino a qualche anno fa rispondevano ai trattamenti farmacologici l’80% dei pazienti colpiti da questa infezione, oggi arriviamo a stento a 50 punti percentuali. Purtroppo, le terapie mediche specifiche non riescono sempre a eradicare l’infezione che non risponde agli antiamebici, difficili anche da reperire nelle farmacie italiane. Il microrganismo non debellato ha così il tempo di penetrare nella cornea e danneggiarla al punto da richiedere un trapianto nel 12-50% dei casi, anch’esso non sempre risolutivo. Il trapianto di cornea classico a tutto spessore fallisce in oltre la metà dei casi e nel 40% dei pazienti si sviluppa un glaucoma, malattia oculare associata all’aumento della pressione endo-oculare e alla comparsa successiva di cecità. I rigetti sono frequenti e in alcuni casi purtroppo si arriva perfino a dover enucleare l’occhio».
È soprattutto la tardività dell’intervento a rendere inefficace la chirurgia. «Per questo – aggiunge l’oculista – stiamo mettendo a punto un nuovo protocollo che ci consenta di optare più precocemente per la pratica chirurgica e di utilizzare una tecnica di trapianto di cornea definita “lamellare anteriore”, o DALK, in cui non viene impiantata la cornea a tutto spessore». I risultati di questa tecnica applicata alle cheratiti da Acanthamoeba, già utilizzata per altre patologie ma non di natura infettiva, sono stati presentati durante l’ultimo Congresso SICSSO: «Questa tecnica garantisce il successo nel 90% dei pazienti, se l’intervento viene eseguito precocemente nei casi con un’infezione di grado più severo. Tuttavia – sottolinea il professore – l’arma migliore resta la prevenzione, seguendo le regole di igiene nell’uso delle lenti a contatto e ricordando di toglierle ogni volta che si fa un bagno».
Maggiore è il tempo di utilizzo delle lenti a contatto maggiore sarà il rischio di contrarre un ‘infezione, non solo da Acanthamoeba: «Chi utilizza le lenti a contatto giornaliere, gettandole sempre a fine giornata e non riutilizzandole una seconda volta, ha un rischio 40 volte minore di contrarre un’infezione agli occhi rispetto a coloro che utilizzano lenti a contatto mensili, trimestrali se non addirittura annuali», spiega lo specialista. I liquidi di conservazione, purtroppo, non hanno un potere disinfettante assoluto: «La probabilità che sulle lenti restino germi pericolosi è ancora più alta, poi, se vengono conservate in una semplice soluzione salina», aggiunge l’oculista.
Per chi non avesse seguito i consigli dello specialista ed utilizzato comunque le lenti a contatto in acqua, il professore Sarnicola elenca i tre sintomi che, anche senza analisi di laboratorio specifiche, possono nella maggior parte dei casi condurre ad una diagnosi di infezione da Acanthamoeba. «Il sintomo più caratteristico è la comparsa di un dolore incoercibile che si manifesta dopo due o tre giorni dal momento in cui l’infezione è stata contratta. Il secondo indizio è la mancanza di risposta alla terapia antibiotica. Il terzo è la presenza di una lesione della cornea a forma di anello, rara in altre infezioni e consueta in presenza dell’Acanthamoeba».
E come direbbe un appassionato di romanzi gialli se «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza e tre indizi fanno una prova», allora la diagnosi di infezione da Acanthamoeba sarà quasi inconfutabile.
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