Salute 25 Ottobre 2024 16:11

Violenza sulle donne: è caccia alle cicatrici nel Dna. L’appello dell’Iss a donare sangue

Un Video invita a partecipare al progetto EpiWe. La seconda fase della ricerca è stata avviata in cinque Regioni

di I.F.
Violenza sulle donne: è caccia alle cicatrici nel Dna. L’appello dell’Iss a donare sangue

“Il dolore di chi ha subito violenza è spesso invisibile, eppure è inciso nel suo Dna. Vogliamo studiarlo ancora per riscrivere la storia di chi lo ha vissuto, per riparare le sue ferite. Ci può aiutare una goccia del sangue di tutte le donne”. L’Istituto superiore di sanità annuncia così la seconda fase del progetto EpiWe, che va a caccia delle ‘cicatrici genetiche’ della violenza di genere per riuscire a prevenirne gli effetti, e lancia un video-appello alla popolazione femminile: c’è bisogno di voi, di te, “aiuta chi ha subito violenza a riprendersi il futuro. Per donare il tuo campione di sangue scrivi a epi_we@iss.it”. Il breve filmato, prodotto dall’Iss e presentato oggi in anteprima durante il convegno ‘Epigenomica della violenza sulle donne, studio multicentrico’, verrà diffuso in ambienti sanitari come Asl e ambulatori dei medici di famiglia, ma anche nelle librerie, nei supermercati e in altri punti di incontro e di aggregazione.

 

 

La violenza è in grado di alterare i geni

“La violenza lascia cicatrici sul Dna delle donne che la subiscono. Capire fino a che punto queste modifiche si estendano all’interno del genoma delle vittime, e quanto durano i loro effetti nel tempo, potrebbe essere la chiave per mettere in atto una prevenzione ‘di precisione'”. L’Iss spiega così il senso del progetto EpiWe (Epigenetics for Women) il cui studio pilota, pubblicato nel 2023 e promosso dall’istituto in collaborazione con l’università Statale e la Fondazione Irccs Policlinico di Milano, aveva già dimostrato che “la violenza è in grado di alterare a livello epigenetico i geni delle donne vittime di violenza, modificandone cioè non la struttura, ma l’espressione”. Proprio “quei risultati preliminari, che erano stati ottenuti analizzando un pannello di 10 geni – riferisce Simona Gaudi coordinatrice di EpiWe e ricercatrice del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Iss – sono stati il punto di partenza per lo sviluppo dello studio multicentrico che prende il via grazie all’accordo di collaborazione tra ministero della Salute-Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Ccm) e l’Iss”.

Al via la seconda fase del progetto in cinque Regioni

“La nuova fase del progetto – illustra l’istituto – coinvolgerà sette unità operative in cinque regioni: Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria. Grazie alla medicina territoriale e ai suoi ambulatori, a pronto soccorso, case antiviolenza e Asl, le donne vittime di violenza relazionale o sessuale saranno informate sulla possibilità di donare un loro campione biologico e di tornare per valutare nel tempo la possibile variazione epigenomica attraverso la raccolta di più campioni, per intercettare in ognuna il prima possibile gli eventuali danni di salute, intervenendo a livello multidisciplinare e integrato per prevenirli. L’obiettivo è riuscire a coinvolgere il maggior numero possibile di donne con prelievi di sangue almeno per 18 mesi, per quattro prelievi in totale, uno ogni sei mesi. Al momento del prelievo e nei richiami del follow-up, i campioni biologici saranno corredati con una serie di dati sul benessere psicofisico, con particolare riguardo alle patologie stress-correlate. Per la raccolta dati è stata sviluppata una scheda informatica ad hoc, che consiste di quattro domande di contesto, cinque domande per indagare il rischio di recidiva violenta, quindi un questionario di 18 domande per individuare un’eventuale sindrome da stress post traumatico”.

Il ruolo centrale della Sanità Pubblica

“Quello che stiamo dimostrando a livello territoriale – sottolinea Gaudi – è che la violenza influisce sulla salute del genoma in un modo tale che i suoi effetti a volte si manifestano 10-20 anni dopo. Questo ci dicono i dati. Ma a noi vogliamo dare supporti molecolari a questi dati, in modo tale che analizzando tutto il profilo dell’epigenoma nel tempo saremo in grado di dire che quella donna potrebbe avere un maggiore suscettibilità a sviluppare un tumore all’ovaio o una malattia cardiovascolare o una patologia autoimmune”.
“La violenza contro le donne è un problema di salute pubblica globale persistente che riguarda tutte le classi sociali e le etnie, con una notevole influenza negativa sulla salute delle donne – commenta Rocco Bellantone, presidente dell’Iss -. L’individuazione precoce, gli interventi adeguati e la cooperazione multidisciplinare sono fattori cruciali per contrastare la violenza di genere. La ricerca pubblica e la sanità pubblica svolgono un ruolo centrale nell’individuazione dei fattori di rischio e di protezione, e nella comprensione del legame tra la violenza e gli effetti a lungo termine sulla salute delle donne. Questo lavoro transdisciplinare ha come obiettivo principale quello di proporre una serie di strategie innovative e/o d’interconnessione, per garantire alla donna che ha subito violenza un’assistenza di lungo periodo così da contrastare e limitare l’insorgenza di patologie croniche e non trasmissibili che potrebbero avere origine proprio dal trauma subito. La sanità pubblica – conclude Bellantone – riveste un ruolo centrale nell’identificare i fattori di rischio e di protezione e nel rafforzare la ricerca. E l’Iss, con le sue ricercatrici e i suoi ricercatori, supporta programmi e azioni al fine di garantire a tutte le donne e a tutte le ragazze una vita senza violenza e senza le sue conseguenze sulla salute”.

 

 

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