Il presidente Filippo Anelli descrive l’iniziativa della FNOMCeO per affrontare il problema delle aggressioni al personale sanitario: «Servono numeri certi per trovare soluzioni concrete. Il medico, spesso, non denuncia per non compromettere il rapporto di fiducia che lo lega al cittadino»
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il Ddl del ministro della Salute Giulia Grillo che introduce un’aggravante per l’aggressione all’operatore sanitario durante l’esercizio delle sue funzioni ed introduce un Osservatorio nazionale sulla sicurezza.
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«Un segnale forte», come definito della stessa Grillo, «un primo passo per proteggere chi si prende cura di noi» e mettere un freno a quella che è diventata una grave emergenza nazionale: insulti, minacce, intimidazioni e attacchi fisici sono all’ordine del giorno in tutto il Paese. Oltre a questo, però, molti sindacati e rappresentanti del mondo della sanità chiedono a gran voce che i professionisti sanitari siano inquadrati nella figura di pubblico ufficiale e ribadiscono quanto sia necessario individuare strategie e percorsi concreti che possano contrastare efficacemente il fenomeno. Per prima cosa, è fondamentale capirne la portata: un aiuto potrebbe arrivare dal questionario online di cui ci ha parlato Filippo Anelli (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri); in secondo luogo, bisogna arrivare alle radici del problema ed identificare i metodi per prevenirlo ed affrontarlo.
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Presidente Anelli, è stata presentata una Proposta di legge per equiparare il medico al pubblico ufficiale e far scattare la denuncia automatica in caso di aggressione. Lei però ha annunciato anche un questionario per capire bene la grandezza del fenomeno. Ci può spiegare di cosa si tratta?
«Si tratta di un questionario online che verrà inviato a tutti i medici; l’obiettivo è quello di fornire alle autorità competenti numeri e dati certi inerenti al fenomeno, per trovare soluzioni concrete. Con questo questionario, noi proveremo a comprendere le percentuali di aggressione: se e quanti medici hanno denunciato le violenze, dove sono avvenute e, soprattutto, quali sono i settori maggiormente “incriminati” in questo senso».
Perché molti medici non denunciano?
«Credo che ci sia un problema di carattere etico: il medico ha difficoltà a compromettere, ulteriormente, il rapporto di fiducia che lo lega al cittadino. Il medico continua a vederlo e considerarlo come una persona da aiutare, non certamente da danneggiare, anche se ha subìto un episodio di violenza. L’altra motivazione è da ricercare nella sfiducia nei confronti delle istituzioni che, oltre alle persone comuni, colpisce anche i professionisti sanitari. Queste denunce, spesso, non portano ad interventi efficaci o risolutivi».
Si stanno susseguendo le iniziative parlamentari sul tema; non sarebbe il caso di raccoglierle per dare più forza alle iniziative stesse?
«Certo, questo è compito delle commissioni parlamentari. A inizio settembre chiederemo sicuramente di essere ascoltati e ricevuti dalla commissione parlamentare e lì proporremo di unificare i vari testi che sono presenti all’interno dell’attività legislativa del parlamento. D’altra parte, credo che questa sia una pratica abbastanza usuale all’interno del percorso legislativo delle leggi che vede la raccolta di più progetti di legge per poi arrivare alla stesura di un unico progetto che va in approvazione».