Il virus respiratorio sinciziale è tipico delle stagioni invernali e rappresenta un pericolo per i bimbi ai loro primi mesi di vita. Quest’anno sta circolando prima del previsto e gli ingressi in Pronto soccorso sono arrivati a 15 al giorno. L’intervista ad Antonino Reale, responsabile di Pediatria dell’Emergenza del Bambino Gesù
Se ne parla tanto in questi giorni, un allarme che è partito da un personaggio famoso e che ha rischiato di spaventare più del previsto. Si tratta del virus respiratorio sinciziale (VRS), una patologia che pediatri e specialisti conoscono molto bene perché ha circolato tra i più piccoli per molti anni. Inizia come un semplice raffreddore nei bambini con meno di 12 mesi di vita per poi evolversi in bronchiolite e nel 50% dei casi può richiedere ospedalizzazione.
Nel 2020, complici le strette misure che abbiamo osservato e le chiusure in zona rossa, il virus respiratorio sinciziale si è sentito molto meno. I bimbi hanno beneficiato della protezione dovuta alle misure anti-Covid e anche questo virus si è diffuso molto meno. Ora però, con il ritorno a regole meno stringenti, l’arrivo sembra essere anticipato di qualche mese rispetto alla norma. Ne abbiamo parlato con il dott. Antonino Reale, responsabile di Pediatria dell’Emergenza dell’Ospedale Pediatrico dell’Ospedale Bambino Gesù.
«Prima di tutto – spiega – chiariamo che non si tratta di un nuovo virus. Il VRS è un “classico” della stagione invernale che si manifesta come un semplice raffreddore nella maggior parte delle persone ma può costituire un pericolo per i più piccoli». Quest’anno è arrivato in anticipo, siamo solamente ad ottobre e questo è un virus stagionale. «Sì, è in anticipo. Nulla di strano considerando che nel 2020 abbiamo visto pochissimi casi e quest’anno invece abbiamo ripreso uno stile di vita simile a quello pre-Covid – illustra l’esperto -. C’è stata una rapida progressione negli ultimi 15 giorni, prima uno o due casi al giorno mentre ora sono 15 accessi in media al Pronto soccorso, con una percentuale di ricoveri sempre intorno alla metà».
Dati in rialzo rispetto allo scorso anno, ma non rispetto al 2019. «Nel 2019 a novembre-dicembre avevamo gli stessi numeri di quest’anno, oltre 1000 accessi di bronchiolite in Pronto soccorso di cui circa il 50% ricoverati, il trend sembra essere lo stesso» conferma Reale. Questo termine, “bronchiolite”, viene utilizzato per descrivere le infiammazioni dei bronchioli nei bimbi sotto l’anno di età. Per un genitore è molto facile accorgersi del fatto che si ha a che fare con VRS, nonostante i sintomi iniziali siano piuttosto comuni. «Dobbiamo tenere a mente – prosegue Reale – che questo solitamente viene portato ai più piccoli dalla famiglia. Fratellini e genitori con raffreddori e malanni di stagione che nei piccoli subiscono una diversa evoluzione».
«Dopo i primi quattro o cinque giorni di raffreddore i bronchioli, che sono grandi poco più di un capello e sono l’ultima e più piccola parte dei bronchi, si riempiono di muco e si infiammano. Essendo così piccoli lo spazio per lo scambio gassoso si esaurisce e l’ossigenazione non passa più con facilità. I bimbi cominciano a respirare male e in modo affaticato e smettono anche di bere il latte e alimentarsi». A questo punto i genitori si accorgono che qualcosa non va e contattano il pediatra, che li indirizza in ospedale. «La cura viene spesso fatta in ospedale, per ridare ossigeno e idratazione al bambino per via endovenosa», così Reale spiega quella percentuale di ricoveri al 50%.
I bimbi migliorano entro qualche giorno e poi, guariti, tornano a casa. Tuttavia esistono anche casi di bronchiolite grave. «Di solito accade a bimbi fragili, magari nati sottopeso e con un’immaturità polmonare. Ma l’ospedale è in grado di far fronte a vari livelli: dal più semplice con ossigeno e flebo, poi gli alti flussi con ossigenazione con pressione aumentata, se non basta i caschi C-pap con pressione elevate, che si sono visti anche con Covid per espandere i polmoni. Come ultimo livello abbiamo le terapie intensive dove vengono intubati». Al Bambino Gesù per ora nessuno è in terapia intensiva. «Per fortuna ad oggi sono ancora tutti nel reparto di pediatria per l’emergenza o in quello generale. La situazione è di controllo assoluto, in evoluzione con un possibile aumento. Nel 2019 avevamo 11 letti occupati dai caschi su 12, tutti guariti» ricorda Reale.
Cosa fare dunque per evitare il pericolo al proprio bambino? «Noi con il Covid – risponde l’esperto – abbiamo scoperto le norme igieniche ideali, ma in realtà sono sempre esistite. Un bimbo di un mese allattato al seno se la mamma ha tosse o raffreddore va allattato con mascherina, se ha un fratellino con la febbre vanno separati. Lavarsi le mani prima di toccare il neonato è sempre buona norma. Evitare il ristorante o le feste se il bimbo ha un mese di vita è da farsi, evitare ambienti chiusi e poco ventilati perché non c’è necessità di far correre loro questo rischio. I bambini piccolissimi vanno protetti. Non abbassiamo la guardia e vacciniamoli per l’influenza». Anche perché, aggiunge, «in nessun caso di quelli che abbiamo isolato c’è solo il virus sinciziale ma sempre una co-infezione con adenovirus, rinovirus o parainfluenzali. Facciamolo per il loro bene».
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