Pubblicate sulla rivista internazionale Endocrine Reviews le raccomandazioni su controllo e integrazione della vitamida D. Il paper dal titolo ‘Consensus Statement on Vitamin D Status Assessment and Supplementation: Whys, Whens, and Hows 1’ è opera di una trentina di autori tra i massimi esperti al mondo
Anziani, persone in sovrappeso, con osteoporosi o che assumono farmaci che inficiano sull’assorbimento della vitamina D: sono alcune delle categorie a rischio cui dovrebbe essere prescritta l’analisi del dosaggio ematico, per poi impostare, se necessario, un’integrazione adeguata. È questa una delle prescrizioni principali contenute nelle Raccomandazioni pubblicate sulla rivista internazionale Endocrine Reviews, il paper dal titolo ‘Consensus Statement on Vitamin D Status Assessment and Supplementation: Whys, Whens, and Hows’. Il documento, opera di una trentina di autori tra i massimi esperti al mondo in tema di Vitamina D, raccoglie le più aggiornate raccomandazioni cliniche su perché, quando e come misurare e integrare la Vitamina D, riassumendo le conclusioni della sesta International Conference on Controversies in Vitamin D dell’autunno 2022.
“La carenza di vitamina D – scrivono gli autori del Consesun nell’introduzione del documento – è stata ampiamente correlata alla comparsa di disturbi scheletrici, come il rachitismo e l’osteomalacia. Può anche essere implicato negativamente nell’osteopenia e nell’osteoporosi, che devono essere obbligatorie e gestite con integratori di vitamina D. Più recentemente, l’interesse per i presunti effetti extrascheletrici della vitamina D ha portato a diversi studi clinici che hanno valutato l’influenza della vitamina D sul cancro e sul rischio cardiovascolare, sugli effetti respiratori, sulle malattie autoimmuni, sul diabete e sulla mortalità. Alcune analisi secondarie hanno progressivamente dimostrato che la vitamina D potrebbe essere utile nel ridurre l’incidenza e la mortalità del cancro a lungo termine, nel ridurre l’incidenza delle malattie autoimmuni e degli eventi cardiovascolari (in particolare l’ipertensione arteriosa centrale, l’infarto miocardico e la fibrillazione atriale), e la sviluppo del diabete da forme prediabetiche.
“È fondamentale misurare i valori circolanti di Vitamina D, più precisamente di 25-idrossivitamina D – spiega Andrea Giustina, professore ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e primario dell’Unità di Endocrinologia all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, nonché coordinatore della Consensus Conference -. Questo permette di effettuare correttamente la diagnosi di ipovitaminosi D e di impostare la terapia più adatta in base alla severità della carenza. La supplementazione di Vitamina D – continua Giustina – è necessaria quando l’organismo non ne produce a sufficienza, per tenere sotto controllo i rischi di tipo scheletrico ed extrascheletrico che l’ipovitaminosi D comporta, considerando, inoltre, che non stiamo parlando di una vitamina in senso stretto, ma di un ormone, e che dunque non basta una dieta equilibrata per soddisfarne il fabbisogno. È lo specialista che cura la prescrizione e il follow-up della terapia, fino al raggiungimento dei valori ottimali di Vitamina D”.
La somministrazione orale di vitamina D è la via preferita. La somministrazione parenterale è riservata a situazioni cliniche specifiche. La forma più utilizzata di Vitamina D, nella supplementazione orale, è il colecalciferolo, la molecola sintetizzata dalla pelle con l’esposizione ai raggi solari. Ci sono poi condizioni specifiche, quali l’insufficienza renale ed epatica, in cui forme più attive di Vitamina D (calcifediolo e calcitriolo) possono essere indicate. Il prossimo appuntamento per un nuovo confronto di opinioni sul tema è previsto a Roma, dal 1° al 4 settembre 2024.
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