Vaccaro (Area Welfare Censis): «La metà di chi ne soffre utilizza farmaci analgesici o antiemicranici e non terapie specifiche. l’82,3% dei pazienti ricorre a farmaci soggetti a prescrizione, mentre il 31,8% utilizza medicinali da banco»
Un dolore che si localizza solitamente su un lato della testa, in alcuni casi associato a nausea, vomito e ad una forte sensibilità a luce e suoni. Sono questi i sintomi dell’emicrania, una patologia che colpisce l’11,6 della popolazione. Le donne ne soffrono tre volte più degli uomini: il 15,8% contro il 5%.
L’emicrania è una malattia che, se non curata, è capace di condizionare totalmente la vita di chi ne soffre. Per questo il Censis ha realizzato l’indagine “Vivere con l’emicrania”, uno studio che indaga l’effetto sulla vita quotidiana di questa patologia. La ricerca è stata presentata oggi a Roma da Ketty Vaccaro, responsabile dell’area Welfare e salute del Censis, con la sponsorizzazione di Eli Lilly, Novartis e Teva. I risultati sono stati ottenuti grazie alla collaborazione delle Società scientifiche che si occupano di emicrania e cefalea a grappolo e delle Associazioni dei pazienti che hanno messo i ricercatori in comunicazione con 695 pazienti con diagnosi di emicrania, dai 18 ai 65 anni.
«L’emicrania – spiega Vaccaro – è una malattia molto sottovalutata sia dai pazienti, che da coloro che vivono accanto a chi ne soffre, tanto che, mediamente, dai primi sintomi alla diagnosi trascorrono sette anni».
Ma, almeno per questa volta, se la diagnosi è estremamente tardiva non è colpa del Sistema Sanitario Nazionale, né dei suoi disservizi o delle sue infinite liste di attesa: «Sono soprattutto le donne ritardare la richiesta di aiuto. Gli uomini, in media – continua Vaccaro – si fanno curare dopo 4 anni. Le donne sopportano dolori e fastidi per il doppio degli anni prima di consultare uno specialista». La metà di chi ne soffre riesce a resistere così a lungo soprattutto usando, e a volte abusando, di farmaci analgesici o antiemicranici. In particolare, l’82,3% dei pazienti ricorre a farmaci soggetti a prescrizione, mentre il 31,8% utilizza medicinali da banco. L’accesso ai farmaci è gratuito per meno di due pazienti su 10, il 42,7% paga il ticket e il 37,8% affronta la spesa totalmente di tasca propria.
Per quasi 4 persone su 10 “il proprio mal di testa è un disturbo normale”, che è lecito avere di tanto in tanto. Il 28,7% è convinto si tratti di un problema passeggero. La maggior parte delle persone comincia a soffrire di emicrania in età giovanile, in media a 22 anni. L’esordio nelle donne è più precoce: di solito possono avvertire i primi sintomi già a 18 anni. «La patologia diventa talmente parte della propria esistenza che il paziente si convince possa essere compatibile con la quotidianità, ma non è così», sottolinea la responsabile dell’area Welfare e Salute del Censis. Un attacco di emicrania, se non adeguatamente trattato, nella metà dei casi dura da uno a due giorni. Il 44,3% dei pazienti che ha partecipato all’indagine ha contato, solo nell’ultimo mese, tra i 6 e i 15 giorni accompagnati dal dolore.
E quasi tutti, 9 su 10, non si sentono compresi. «Il disagio più denunciato in assoluto è la sottovalutazione della patologia a livello sociale – aggiunge Vaccaro -. I pazienti non si sentono compresi da chi non soffre della loro stessa patologia e, spesso, chi gli sta accanto definisce “esagerate” le loro lamentele. È, invece, – sottolinea la responsabile dell’area Welfare e salute del Censis – l’emicrania può rendere davvero difficile la vita quotidiana, con un impatto negativo sul lavoro, sulla vita domestica e sullo svolgimento dei compiti familiari». I sintomi sono talvolta talmente invalidanti da rendere impossibile qualsiasi attività: il 69,9% non riesce a fare nulla durante l’attacco, con conseguenze sulla propria attività professionale (per il 28%) o sul percorso di studi (per il 18%).
Tra le altre priorità segnalate, da sei pazienti su dieci, vi è il miglioramento della formazione dei medici su questa specifica patologia. «Soltanto il 30% dei pazienti – dice Vaccaro – frequenta un centro specializzato e solo per il 15% diventa un punto di rifermento. E dal luogo di cura a cui si accede dipende anche la terapia a cui si verrà sottoposti, per cui l’utilizzo di farmaci specializzati è appannaggio solo di coloro che accedono a centri specializzati e, dunque, di una minoranza dei pazienti». Tutti gli altri si dividono tra neurologi che operano all’interno del Servizio sanitario nazionale (20%) e specialisti che esercitano privatamente (19,7%), mentre il 25,5% fa riferimento al proprio medico di medicina generale.
«Questa ricerca – commenta Vaccaro – sottolinea dunque la necessità di diffondere una conoscenza più adeguata della patologia tra i pazienti, ma anche tra i professionisti della sanità, in modo che possano arrivare ad un’identificazione precoce e complessiva della malattia. L’emicrania è ancor oggi sottovalutata, spesso lasciata alla gestione individuale delle persone. I pazienti, sopratutto donne, continuano a credere che questa patologia sia gestibile nella vita di tutti i giorni, ma invece – conclude – è falsamente compatibile con la quotidianità di chiunque ne soffra».