Non solo stress e isolamento, anche disturbi oculari e posturali. La zoom fatigue è la principale conseguenza di questo periodo vissuto online
Reclusi, isolati, ma iperconnessi. La pandemia in corso da più di anno ormai ci sta costringendo a forzare molti dei nostri limiti, spingendoci in una sindrome di adattamento praticamente costante (Zoom fatigue). Gli ambiti coinvolti in questo processi sono molteplici e ognuno si ripercuote sull’altro, da quello lavorativo a quello familiare, sociale. Con un unico comune denominatore: l’iperconnessione.
Dallo smartworking che in molti casi si traduce in una perpetua reperibilità, alle riunioni su Zoom o altre piattaforme, videochiamate per tenersi in contatto con amici e familiari, acquisti su Amazon e spesa alimentare online, è facile rendersi conto che la maggior parte delle attività quotidiane viene svolta con in mano uno smartphone o davanti a un pc. Gli studiosi hanno coniato un’espressione, la Zoom fatigue, per identificare quel complesso di sintomi come stanchezza, stress, ed emozioni negative anche non immediatamente riconoscibili, dovute ad un uso eccessivo di interfaccia virtuali per riunioni di lavoro e sociali/familiari.
«Stiamo vivendo una sindrome da adattamento da più di un anno – afferma Marco Vitiello, psicologo dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, coordinatore del GdL Lavoro ed esperto in sindromi da stress – un tempo troppo lungo perché non si producano effetti significativi sulla tenuta psicologica delle persone. Intanto, il confine tra lavoro e vita privata è diventato estremamente labile con lo smartworking. Il lavoro, i colleghi, sono entrati letteralmente nelle nostre case: dalle mail che arrivano a qualsiasi ora, ponendoci il dilemma se rispondere o meno anche in orario extralavorativo, dalle riunioni online in cui il nostro privato, la nostra casa, i nostri figli talvolta, sono visibili agli altri».
«Questo – aggiunge Vitiello – viene percepito come una violazione della nostra sfera più intima, come una zona franca che viene espugnata. Un altro fattore di stress importante è il time-lag comunicativo; la comunicazione virtuale non è fluida come quella in presenza, perché contiene una barriera intrinseca, che è il mezzo adoperato: la connessione internet che va via nel bel mezzo di un discorso, un link che non si apre, una voce non in sincrono, una chiamata senza risposta, fatta o ricevuta, il tutto insieme al venir meno di gran parte del linguaggio corporeo, para-verbale».
«Per non parlare – continua – del senso di inadeguatezza per chi, per i più disparati motivi, non è avvezzo all’uso di questi strumenti. Pensiamo anche al fatto di vedere se stessi durante le riunioni online: in alcuni casi si passa più tempo a osservare l’icona sullo schermo con la propria immagine piuttosto che gli altri. Questo, oltre ad acuire eventuali nevrosi (mania di controllo, perfezionismo, narcisismo, disturbo ossessivo compulsivo), distrae dallo scambio con l’altro e smarrisce la regolazione sociale».
«Per contro – sottolinea Vitiello – gli introversi e tutti coloro che hanno difficoltà nei rapporti sociali si sentono più a loro agio in queste nuove modalità di relazione e di lavoro, il problema è che a lungo andare questo nuovo modus vivendi potrebbe esasperare un disagio sfociando nella conosciuta sindrome di Hikikomori, che affligge molti adolescenti. Fondamentale per non farsi travolgere da questa nuova tipologia di stress – osserva lo psicologo – è continuare ad avere interessi ed hobby che non coinvolgano la sfera virtuale; mettere in pratica il cosiddetto diritto alla disconnessione, per stabilire una linea di demarcazione quanto più possibile netta tra lavoro e vita privata. Infine, non perdere la cura di sé: anche se passiamo gran parte della giornata seduti davanti a un pc, cerchiamo di trovare le soluzioni che salvaguardano anche la nostra salute fisica – conclude – dall’adottare una postura corretta agli accorgimenti per non stancare troppo la vista».
La Zoom fatigue, infatti, oltre all’aspetto psicologico coinvolge anche altri aspetti come, quello oculistico e ortopedico. «I disturbi dell’occhio che più frequentemente si riconducono ad una prolungata permanenza al computer – osserva il dottor Cosimo Nocera, dirigente medico in Oculistica presso la Asl Napoli – sono quelli dell’accomodazione, come ad esempio una miopia transitoria. Ma i disturbi che preoccupano di più – aggiunge – sui quali sono attualmente in corso studi per dimostrarne l’effettivo aumento in concomitanza con le nuove modalità di lavoro e didattiche, sono quelli di rifrazione, caratteristici dell’età evolutiva e non reversibili, che possono comportare anche alterazioni anatomiche».
«C’è poi la vasta gamma di disturbi oculari – osserva ancora Nocera – tra cui quello del segmento anteriore e della lacrimazione, secchezza oculare e fotofobia, riconducibili alla riduzione dell’ammiccamento, caratteristica delle lunghe permanenze davanti a un computer. Oltre all’utilizzo di lacrime artificiali – conclude – buona norma per arginare i danni sarebbe fare delle pause ed evitare la permanenza continua di più ore davanti al computer».
«Come per tutti i lavori sedentari, lo smartworking risente della mancanza di attività fisica, fosse anche quella necessaria a raggiungere la fermata dell’autobus per andare in ufficio – osserva il dottor Marco Trono, specialista in Ortopedia e Traumatologia presso la Clinica Villa Maria di Rimini e Clinica Ruesch di Napoli, componente della SIOT (Società Italiana Ortopedia e Traumatologia) e della SIDA (Società Italiana dell’Anca) – Con la Zoom Fatigue ci sono in più tutte le problematiche posturali, perché se la maggior parte delle aziende predispongono per i propri dipendenti delle sedute più o meno ergonomiche, scrivanie migliori, migliore illuminazione, lo stesso non può dirsi per il divano di casa, o la sedia della cucina, o addirittura lo schienale del letto, “sedute” che qualsiasi persona in smartworking ha almeno una volta adottato nel corso dell’ultimo anno, e consideriamo anche il fatto che le ore di lavoro da casa sono sicuramente di più rispetto a quelle in ufficio. Aumentano i dolori al collo, alla schiena, cefalee, vertigini».
«Tutti questi aspetti – continua – traslati dallo smartworking alla Dad, che vede protagonisti ragazzi nel pieno dell’età evolutiva, aumentano in maniera esponenziale. Cerchiamo, per limitare i danni – conclude lo specialista – di fare delle pause anche solo per un po’ di stretching e per sgranchire le gambe e, appena possiamo, di fare attività fisica».
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