Al termine dell’inverno più caldo di sempre in Europa, un Report del WWF, attraverso la rilettura di numerosi lavori scientifici, evidenza le connessioni tra cambiamenti climatici e salute umana
Dagli animali si trasmettono agli uomini causando, ogni anno, un milione di morti ed un miliardo di contagi. Si chiamano malattie zoonotiche o zoonosi e rappresentano circa il 75% delle patologie infettive umane fino ad oggi conosciute.
«Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, esistono circa 200 malattie zoonotiche – spiega Isabella Pratesi, direttore Conservazione WWF Italia – e la più recente è, senz’altro, il Covid-19. Anche l’Ebola, Zika, Chikungunya, la SARS, la MERS, l’aviaria e l’influenza sono delle zoonosi. Un’altra molto conosciuta è la rabbia. Una malattia zoonotica che ancora oggi uccide ed ha un significativo impatto economico è, invece, l’echinococco. Prendendo come riferimento la storia antica, una delle zoonosi che più ha segnato l’umanità è la peste, che ha colpito la nostra civiltà in diverse fasi, con esiti devastanti».
La trasmissione può avvenire per contatto diretto con l’animale malato o per via indiretta, «ad esempio – continua Pratesi -, per ingestione di alimenti contaminati dall’agente o da sue tossine, tramite l’ambiente anch’esso contaminato (acqua, aria, suolo, oggetti inanimati, etc) o mediante vettori biologici (zanzare, flebotomi, mosche, zecche, etc.)».
Tra i Paesi più a rischio ci sono quelli tropicali, ma anche in Italia sono aumentati i casi di malattie zoonotiche: «Esistono zoonosi, come ad esempio una forma di encefalite provocata dal virus Toscana (trasmesso dai pappatacei) che si sta diffondendo in centro Italia di cui pochi conoscono l’esistenza. Alcune di queste – sottolinea il direttore Conservazione WWF Italia – sono riconducibili alle variazioni ambientali collegate al cambiamento climatico».
Ed è proprio al legame tra malattie trasmissibili e cambiamento climatico che il WWF ha dedicato un intero studio. Al termine dell’inverno più caldo di sempre in Europa, il report, intitolato “Malattie trasmissibili e cambiamento climatico – Come la crisi climatica incide su zoonosi e salute umana”, attraverso una rilettura di numerosi studi scientifici, mette in relazione gli effetti diretti e indiretti dei mutamenti del clima sulla salute umana.
Numerose ricerche indicano, infatti, che molte zoonosi sono fortemente influenzate dal cambiamento climatico indotto dall’uomo, attraverso tre meccanismi principali: espansione degli areali delle specie serbatoio o vettori (come nel caso di Morbo di Lyme e West Nile Virus), alterazioni nelle temperature e nel regime delle precipitazioni (che favoriscono ad esempio malaria e Chikungunya) e rilascio di patogeni in aree precedentemente ghiacciate (come nel caso dell’antrace).
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Eppure avremmo potuto prevedere molte delle recenti zoonosi. «Magari non la specifica zoonosi – commenta Pratesi – ma il sistema con cui queste si generano e si diffondono. Tali malattie, infatti, sono spesso collegate alla distruzione degli ecosistemi (in particolare le foreste tropicali) ed alla manipolazione di animali selvatici. Se a questo ci aggiungiamo le sempre più diffuse pratiche di allevamento intensivo (che facilitano la trasmissione dei virus dagli animali all’uomo), l’aumento della popolazione umana e la sua grande “mobilità” (insieme a noi si spostano virus, batteri e altri bacilli) non possiamo che esser consapevoli di aver creato un cocktail perfetto per la diffusione di bacilli pandemici».
«Mentre sull’aumento della popolazione umana e la sua mobilità non possiamo fare molto – aggiunge l’esperta -moltissimo possiamo fare per proteggere gli ecosistemi che svolgono una funzione di regolazione anche della nostra salute. Ecosistemi sani e naturali sono il nostro miglior vaccino. Allo stesso modo possiamo, e direi, dobbiamo, interrompere il commercio illegale e non regolamentato di animali selvatici e rivedere il nostro sistema di allevamenti intensivi».
In altre parole, non è affatto troppo tardi per cambiare la situazione. «Oggi abbiamo conoscenze, tecnologia e strumenti per rivedere e ridurre il nostro impatto sul pianeta – spiega Pratesi – e per fermare il cambiamento climatico. Dobbiamo rivedere i nostri sistemi di produzione (con particolare attenzione a quello alimentare che è un’importantissima causa di distruzione degli ecosistemi), ridurre le nostre emissioni di gas serra e proteggere quello che rimane della natura. Tutto questo deve essere accompagnato da una vera e propria opera di restauro degli ecosistemi marini e terrestri. Non a caso le Nazioni Unite hanno deciso che il decennio dal 2020 al 2030 sia dedicato alla “nature restoration”. Se vogliamo proteggere la nostra salute e il nostro futuro – conclude Isabella Pratesi – dobbiamo proteggere e ricucire lo strumento più innovativo che abbiamo per vivere sul pianeta: la natura».