La situazione mondiale della battaglia contro Covid ha diverse facce: nel Sud del mondo i vaccini non arrivano e si continua a morire, la situazione indiana spaventa anche i paesi limitrofi. Mentre in occidente Israele e Uk guidano la strada verso la normalità
La battaglia del mondo contro Covid-19 è un fronte unitario, eppure le singole situazioni dei paesi non sembrano rispondere a questa visione. Mentre Stati Uniti ed Europa procedono nelle vaccinazioni, il sud del mondo fatica a reperire nuove dosi e soffre maggiormente varianti e aggressività del virus. Si configurano quindi situazioni opposte: stati che vedono la luce e altri che non ne sono mai stati così lontani.
In Israele, per la prima volta in oltre 10 mesi i pazienti gravi per Covid-19 sono scesi sotto soglia 100. Sono 97 le persone con malattia grave e 63 quelle in terapia intensiva con ventilazione artificiale. Per risalire a un numero così basso si deve riavvolgere fino al 7 luglio 2020. La campagna vaccinale procede con successo e quasi tutti gli ambienti pubblici hanno riaperto. Nelle ultime 24 ore i casi registrati sono stati 51, lo 0.2% dei tamponi effettuati.
La Gran Bretagna gode altrettanto di buona salute. Un solo morto nella giornata di lunedì e poco più di 1000 nuovi casi di coronavirus. Il 3 maggio l’Uk ha superato le 50 milioni di somministrazioni con 34,59 milioni di persone vaccinate con prima dose. L’annuncio del premier Boris Johnson è stato: entro il 31 luglio tutta la popolazione over 18 immunizzata. Dal 17 maggio i matrimoni potranno avere 50 invitati e i funerali torneranno senza limiti.
Nei prossimi giorni è prevista la pubblicazione di una “lista verde” con tutti i Paesi a minor rischio Covid verso i quali tutti i cittadini inglesi potranno liberamente viaggiare. Mentre nel paese dovrebbe essere il 21 giugno la data fissata per la fine del distanziamento sociale. Si susseguono, per anticiparla, esperimenti sul ritorno alla vita fatta di grandi eventi come festival, concerti e serate in discoteca. Tanti i giovani a partecipare agli eventi, che accettano di essere monitorati per studiare la possibilità di una nuova estensione a tutti.
Una situazione che si contrappone a quella che presenta il Messico, in cui l’urgente bisogno di vaccini e il loro mancato arrivo stanno continuando a far salire i numeri. Il problema principale è stato creato da un importante ritardo nelle produzione di vaccini nello stabilimento messicano AstraZeneca, che avrebbe dovuto rappresentare il fulcro delle fornitura. Inoltre, le dosi Sputnik V arrivate dalla Russia sono state sensibilmente minori rispetto al numero pattuito.
In aiuto è arrivata la casa farmaceutica Pfizer, che ha finalmente cominciato ad esportare verso il Messico alcune delle sue dosi. Fino ad ora non era stato possibile per via di una restrizione imposta dall’amministrazione Trump, valida fino alla fine di marzo. Ad oggi sono circa 10 milioni le dosi spedite dalla casa farmaceutica. Le dosi statunitensi saranno comunque assicurate, riferisce Reuters, ma con la capacità extra degli stabilimenti americani e di quello in Belgio si procederà alle esportazioni.
Il presidente statunitense Joe Biden ha inoltre promesso di spedire fino a 60 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca, inutilizzate, ai paesi con più bisogno tra cui il Messico. Il presidente Andres Manuel Lopez Obrador ha chiarito che saranno circa 5 milioni quelle che raggiungeranno il suo paese.
Un’altra falsa pista riguardava la presunta “poca efficacia” dei vaccini anti-Covid indiani Covishield (di AstraZeneca) e Covaxin. Questo perché sui giornali si è parlato molto di operatori sanitari che, dopo aver completato i cicli di vaccinazioni, sono risultati positivi.
I dati smentiscono ancora tuttavia. Dei 15 milioni vaccinati Covishield lo 0,03% è risultato positivo e degli 1,7 milioni con Covaxin lo 0,04%, quindi 695 persone. Nessun vaccino protegge totalmente dal virus, quindi come statistiche queste tornano ad essere perfettamente nella media.
Infine il divisivo problema delle varianti: quella indiana (B.1.617) con doppio mutante sta spaventando il mondo e si pensa che sia all’origine di un aumento così importante dei contagi. Si temeva inoltre che fosse resistente ai vaccini, proprio per la ragione prima elencata. Le informazioni su questo non sono sufficienti, ma per ora la variante dominante in India resta quella inglese dai sequenziamenti genomici.
Più che una singola variante, forse la circolazione massiccia di più varianti potrebbe avere influenzato l’andamento epidemiologico, ma su questo i dati sono ancora troppo scarsi e non danno per ora ragione di supporre una più alta letalità.