Nelle lista dei 10 paesi più colpiti dalla seconda ondata il primo posto è ancora degli Usa, ma l’Italia si trova al terzo. In Francia plateau raggiunto secondo il ministro della Salute, mentre il Regno Unito valuta la distribuzione della vitamina D
«In questo momento siamo estremamente preoccupati per l’aumento dei casi di Covid-19 che stiamo vedendo in alcuni Paesi. In particolare in Europa e nelle Americhe, dove gli operatori sanitari e i sistemi sanitari sono stati spinti al punto di rottura». Non è confortante il messaggio del direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, in conferenza stampa a Ginevra. La luce è rappresentata solo dalle «notizie positive che ci arrivano dalla ricerca sui vaccini».
Prima Pfizer e poi Moderna hanno infatti annunciato un’altissima efficacia per i loro vaccini contro Covid-19, rispettivamente 90% e 94,5%, la cui produzione dovrebbe partire già a dicembre in Usa. «Questo non è il momento per l’autocompiacimento. Mentre continuiamo a ricevere notizie incoraggianti sui vaccini, rimaniamo cautamente ottimisti sul potenziale che nuovi strumenti comincino ad arrivare nei prossimi mesi», ha ribadito Ghebreyesus.
Stando ai dati diffusi il 16 novembre da Oms, gli Stati Uniti con 155mila contagi al giorno, rimangono il Paese con il maggior incremento giornaliero. Al secondo posto il Brasile con 38mila casi. Al terzo arriva l’Italia, con il conteggio positivo che arriva a 33mila in 24 ore. Seguono India, Francia e Regno Unito.
«Tutto lascia pensare che abbiamo oltrepassato un picco dell’epidemia», ha dichiarato il ministro della Salute francese Olivier Véran in un’intervista. «Grazie al confinement, come nel mese di marzo, il virus comincia a circolare meno. Da dieci giorni a questa parte, il numero delle nuove diagnosi di Covid-19 diminuisce, il tasso di positività scende e la percentuale di incidenza anche», ha proseguito Véran, senza scordare di ribadire la necessità di non abbassare la guardia.
In Regno Unito intanto, il portavoce del premier Boris Johnson ha annunciato che il leader si trova in auto-isolamento dopo un contatto con una persona positiva. Da qualche settimana si discute del “piano Johnson”, che prevede di somministrare ai cittadini inglesi più vulnerabili la vitamina D gratuitamente per quattro mesi. Secondo alcuni studi, infatti, una carenza di vitamina D esporrebbe maggiormente a forme gravi di coronavirus. Il ministero della Salute ha chiesto al National Institute for Health and Care Excellence e alla Public Health England di creare delle linee guida per l’uso della vitamina D due settimane fa.
Al settimo posto troviamo la Russia. Che ancora una volta segnala oltre 22.000 casi di coronavirus diagnosticati nell’arco di 24 ore e registra, con altri 442 decessi, un triste record per il Paese. I dati ufficiali riportati dall’agenzia Tass parlano di 22.410 contagi che portano il totale a 1.971.013 dall’inizio dell’emergenza sanitaria. Solo a Mosca sono stati confermati 5.882 contagi. Il bilancio ufficiale delle vittime è invece salito a 33.931.
Fuori dal continente europeo tornano a crescere i timori per la diffusione del coronavirus anche in Corea del Sud, dove per il quarto giorno consecutivo si registrano più di 200 casi nell’arco di 24 ore. Il governo ha deciso di inasprire le misure con particolare attenzione al distanziamento fisico nell’area metropolitana di Seul, dove vive circa la metà della popolazione sudcoreana (51 milioni di persone in tutto), e a Gwangju, a sudovest di Seul.
In particolare, si legge, in classe sarà consentito l’ingresso dei due terzi degli studenti normalmente dietro ai banchi. Nuove disposizioni anche per bar, club e locali al chiuso. Nei luoghi di culto e agli eventi sportivi è ammesso il 30% delle persone normalmente previste. Concerti, manifestazioni varie e festival consentiti con un massimo di 100 partecipanti. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria la Corea del Sud ha segnalato 28.999 casi di Covid-19 e 494 decessi.
In Australia, a un mese dalla fine dei 7 mesi di lockdown, circa quattromila persone sono state messe in quarantena dopo un test di massa, per cercare di soffocare un nuovo focolaio. Secondo l’agenzie Reuters, al sud sono tornate le restrizioni dopo 21 nuovi casi acquisiti localmente.
Gli ultimi dati che arrivano dall’Africa vengono dall’OMS e stimano il 18,3% dei decessi per Covid-19 legati in qualche modo al diabete. «Troppe persone non sanno se hanno il diabete o no. Le persone con questa condizione cronica soffrono doppiamente se sono anche infettate da Covid-19», ha affermato il dottor Matshidiso Moeti, direttore regionale dell’OMS per l’Africa in occasione della Giornata mondiale contro il diabete. «Dobbiamo cambiare questa situazione investendo nella diagnosi precoce, nella prevenzione e nel trattamento del diabete». Dovrebbero essere 19 milioni i cittadini dell’Africa subsahariana con diabete, secondo le previsioni il 60% non sa di avere questa malattia.
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