I dati contenuti nel rapporto ‘Non c’è tempo da perdere’ della Ong su 15 Paesi dell’Africa. L’organizzazione segnala anche il problema dell’interruzione delle cure
Se in Europa occidentale il virus dell’HIV è tenuto sostanzialmente sotto controllo, non è così nel resto del mondo. Nel 2018 l’Aids ha ucciso nel mondo 770 mila persone di cui 100 mila bambini. E, denuncia Medici Senza Frontiere, nonostante l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) abbia stabilito delle linee guida sull’Hiv avanzato dal 2017, l’impegno dei governi ad adeguare le proprie politiche nazionali è stato «molto lento, e l’implementazione di queste misure e i relativi finanziamenti risultano ancora più indietro». I dati sono contenuti nel Rapporto Msf ‘Non c’è tempo da perdere’, pubblicato in occasione della Giornata mondiale di lotta all’Aids che si è celebrata il 1 dicembre. «Per prevenire le morti per Aids – è l’appello della Ong – sono necessari test diagnostici rapidi nelle cliniche locali». Strutture che nella maggior parte dei casi oggi ne sono sprovviste.
Le linee guida dell’Oms – spiega Msf – raccomandano l’utilizzo di test rapidi di facile impiego per valutare lo stato del sistema immunitario dei pazienti (test per il conteggio delle cellule Cd4) e diagnosticare le infezioni opportunistiche più comuni e letali causate dall’Aids, come la tubercolosi e la meningite pneumococcica. Questi test possono dare risultati nel giro di poche ore e questo, congiuntamente alla prossimità e al monitoraggio dei pazienti, consente di intervenire rapidamente, guadagnando giorni che fanno la differenza tra la vita e la morte delle persone, precisa l’organizzazione medico-umanitaria che nel suo nuovo report ha analizzato la situazione in 15 Paesi dell’Africa, monitorandone dal novembre 2018 a ottobre 2019 politiche sanitarie e fondi stanziati. «I test rapidi non sono quasi mai reperibili a livello comunitario, nonostante la diagnosi precoce possa salvare molte vite», rileva Msf. L’associazione chiede «ai Paesi che registrano un alto livello di infezione e ai Paesi donatori di mettere in atto urgentemente i protocolli raccomandati per prevenire, diagnosticare e curare l’Hiv avanzato a livello comunitario». E segnala anche il problema dell’interruzione delle cure, che insieme alla mancanza di una risposta tempestiva ai fallimenti terapeutici sta mettendo «a repentaglio i recenti progressi cha hanno visto diminuire il numero di morti per Hiv».
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Dei 15 Paesi esaminati (Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Swaziland, Guinea, India, Kenya, Lesotho, Malawi, Mozambico, Myanmar, Nigeria, Sudafrica, Sud Sudan, Uganda e Zimbabwe), selezionati per l’alto livello di infezione da Hiv, per le morti da Aids e per l’elevata percentuale di morbilità e mortalità da tubercolosi e meningite pneumococcica, solo 8 usano test rapidi per la Tbc su pazienti con Hiv avanzato. In alcuni ospedali del Sudafrica vengono utilizzati, ma una maggiore e capillare diffusione a livello comunitario deve ancora avvenire. Il Malawi sta pianificando di adottarli in 230 centri sanitari nel 2020 e programmi pilota per introdurre questi test sono stati lanciati in Lesotho e in Nigeria. Un altro progetto pilota è stato completato in Kenya prima di una possibile estensione a livello nazionale. Solo un terzo dei Paesi analizzati raccomanda l’uso del test rapido per la meningite pneumococcica (che rappresenta il 15-20% di tutte le morti legate all’Hiv avanzato) su pazienti con un sistema immunitario molto debole e compromesso. In Kenya, Mozambico, Sudafrica, Sud Sudan, Uganda e Zimbabwe questa raccomandazione non è stata ancora implementata a livello comunitario.