In Italia nel 2031 la percentuale di coppie composte da persone sole saranno il 37% del totale delle famiglie mentre il numero delle persone over 64enni tra vent’anni saranno il 62% del gruppo di popolazione con età compresa tra i 15 – 64enni (F. Longo – Rapporto OASI, cap 1 Università Bocconi). Dati che confermano l’urgenza non più rinviabile di dare avvio in maniera omogenea al servizio di ADI perché non più rinviabile sia per le previsioni contenute nel PNRR che per alleggerire l’accesso improprio in ospedale
E’ dello scorso mese di marzo la pubblicazione in G.U. della LEGGE 23 marzo 2023, n. 33 Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane con il compito di promuovere il coordinamento e la programmazione integrata delle politiche nazionali in favore delle persone anziane, con particolare riguardo all’assistenza domiciliare integrata per la presa in carico delle fragilità e della non autosufficienza. L’assistenza domiciliare agli anziani è un tema al centro delle riflessioni di politica professionale da parte degli infermieri perché costituisce uno dei pilastri oggetto della sanità territoriale disegnata all’interno della missione 6 del PNRR ma è altrettanto forte la preoccupazione circa la realistica sostenibilità del progetto complessivo. Le ragioni di questo pessimismo risiedono su due elementi complementari: la capacità organizzativa delle Aziende sanitarie di offrire i servizi di ADI e la disponibilità di un numero adeguato di infermieri da dedicare a questo servizio per raggiungere gli obiettivi assistenziali e di presa in carico del bisogno di salute.
Pericolosamente frammentata la capacità oggi delle singole regioni alla domanda di ADI con disuguaglianze significative nell’offerta dei servizi assistenziali domiciliari. A fronte di una media nazionale di cittadini assistiti con i servizi di assistenza domiciliare integrata pari a n. 1825 casi / 100.000 abitanti solamente 6 regioni (Molise, Toscana, Veneto,Emilia Romagna, P.A. Trento, Friuli Venezia Giulia) rientrano all’interno di tale valore medio. Le rimanenti 15 regioni stentano a far decollare il servizio ADI con una forbice molto ampia che va dai 176 casi/ 100.000 della P.A. di Bolzano ai 1723 casi/100.000 abitanti della Lombardia e come se non bastasse con modelli organizzativi differenti che vedono in minoranza la gestione diretta in house da parte delle aziende sanitarie. Il D.M. n. 77/2022 per la riforma della sanità territoriale fissa l’obiettivo di aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, almeno il 10% della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee), rispetto all’attuale media tra le diverse regioni italiane di poco inferiore al 5%.
Questo traguardo, già di per sé difficile da raggiungere stante la stratificazione del servizio di cui alla tabella sopra, risulta ulteriormente difficile da traguardare per la mancata disponibilità di un numero sufficiente di infermieri a disposizione delle Aziende sanitarie. Se a queste variabili fin qui illustrate aggiungiamo che ad oggi non si è ancora giunti a identificare l’interlocutore istituzionale deputato a declinare i requisiti minimi di accreditamento degli indicatori per l’assistenza domiciliare integrata, come previsto dall’articolo 8, comma 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano “Proposta di requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l’autorizzazione all’esercizio e requisiti ulteriori per l’accreditamento delle cure domiciliari, in attuazione dell’articolo 1, comma 406, della legge 30 dicembre 2020, n. 178”, ecco che la tempesta perfetta è servita: da una parte regioni che faticano a garantire omogeneità di offerta dell’assistenza domiciliare e dall’altra una riduzione e una carenza sempre più marcata di infermieri.
I dati relativi all’occupazione degli infermieri pubblicati dalla Ragioneria generale dello Stato e contenuti nel Conto annuale per l’anno 2021 evidenziano come negli ultimi 13 anni solamente metà delle regioni italiane sono riuscite a garantire il turn over degli infermieri che lasciano la professione. Nonostante l’emergenza pandemica abbia consentito l’assunzione di oltre ventimila infermieri la situazione certificata al 2021 vede ben 11 regioni che “perdono” personale infermieristico passando da un totale complessivo di 124.483 unità nel 2009 ad una importante riduzione pari al 6% del totale che assume un significato drammatico qualora dovessero intervenire modifiche al sistema di calcolo retributivo dell’assegno pensionistico per gli infermieri. In presenza di questa nefasta eventualità gli infermieri che decidessero di accelerare l’abbandono lavorativo determinerebbero una crisi di sistema e di organizzazione del lavoro davvero grave per la sostenibilità del sistema: la platea di infermieri interessati dalle disposizioni citate nell’art. 33 della Legge di bilancio (AS 926) che potrebbero decidere di andare in pensione ammontano a circa 12.000 unità lasciando le aziende sanitarie entro l’anno 2024 a fronte di non più di 9.000 infermieri che si laureano ogni anno.
Alla luce delle considerazioni fin qui esposte per offrire ai cittadini un servizio di ADI appropriato alla domanda di salute e ai bisogni epidemiologici occorre:
In assenza di interventi volti a sostenere l’avvio anche sperimentale di modelli integrati di assistenza domiciliare, di un finanziamento specifico a supporto dell’avvio di un sistema digitale per il governo dei percorsi nelle cure di transizione ospedale territorio e di un progetto di valorizzazione formativa e contrattuale dell’infermiere difficilmente potranno trovare compimento i principi e gli obiettivi propri della legge n.33/2023 a favore delle necessarie e non più rinviabili politiche in favore della popolazione anziana.