Il capo progetto di Medici Senza Frontiere nello stato di Amazonas: «Assistiamo i pazienti critici in terapia intensiva, garantiamo l’isolamento medico per quelli meno gravi e promuoviamo la salute per spezzare la catena del contagio»
«L’Amazzonia brasiliana, con circa 1.780 decessi, è tra le regioni con il maggior numero di morti per Covid-19 nel Paese, nonostante abbia una popolazione relativamente limitata. Nell’area l’epidemia ha determinato il crollo non solo del sistema sanitario ma anche di quello funerario. Un’espansione senza controllo del Covid-19 potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza delle comunità indigene della regione». È Cecilia Hirata, capo progetto di Medici Senza Frontiere (MSF) nello stato di Amazonas, a raccontare a Sanità Informazione i devastanti esiti della pandemia nell’area.
Secondo i dati ufficiali dello Stato (bollettino epidemiologico Covid-19, fondazione di sorveglianza sanitaria dell’Amazzonia del 26 maggio) i casi confermati sono 28.802, di cui 3.489 gravi.
«Per evitare il peggio – continua Cecilia Hirata – stiamo assistendo i pazienti critici in terapia intensiva, garantiamo l’isolamento medico per quelli meno gravi e promuoviamo la salute attraverso specifiche attività, cruciali per spezzare la catena del contagio sia nelle aree urbane che in quelle rurali. Gli ospedali locali di Manaus, capitale dello stato di Amazonas, sono riusciti ad aumentare il numero di letti in terapia intensiva, ma il tasso di mortalità legato alla malattia rimane elevato e nelle ultime settimane, nella capitale e in tutto lo Stato, i numeri hanno raggiunto livelli allarmanti».
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Il sistema sanitario, in alcune zone del Brasile, era già fragile prima dell’arrivo dell’epidemia che, esplodendo, ha peggiorato ulteriormente la situazione. «Per questo – spiega il capo progetto di MSF nello stato di Amazonas – stiamo cercando di ridurre il peso sul sistema sanitario, sia in relazione al Covid-19, che alle altre malattie. Stiamo lavorando nelle grandi città come San Paolo e Boa Vista, nel Nord del Paese, dove vive un numero significativo di migranti e richiedenti asilo venezuelani. Nello specifico a San Paolo, le attività sono concentrate nei luoghi frequentati dai senza dimora, mentre a Boa Vista lavoriamo con i migranti e i richiedenti asilo venezuelani che vivono in condizioni precarie, in pochi spazi sovraffollati e spesso senza accesso regolare all’acqua potabile».
Il personale di MSF punta a rallentare il tasso di contagio per ridurre il numero di casi gravi che giungono negli ospedali nello stesso momento. Ma il problema non è solo sanitario; è anche politico. «La complessità della pandemia – sottolinea Hirata – è aggravata dal contrasto sorto tra diversi livelli di governo in relazione al distanziamento sociale, con pareri discordanti. In una situazione come questa è cruciale avere un orientamento chiaro. Invece, stiamo assistendo alla diffusione di indicazioni contraddittore che ostacolano il rispetto delle misure necessarie. L’emergenza in atto colpisce ancora di più quelle fasce della popolazione più vulnerabili, e chi vive in strada, se senza cure, morirà in strada».
Le équipe di MSF visitano quotidianamente i dormitori, le mense sovvenzionate dal governo e le realtà che distribuiscono cibo ai senzatetto, fornendo attività di formazione sull’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale agli operatori sanitari. «Ci rechiamo regolarmente presso gli insediamenti informali dove vive un’ampia parte della popolazione migrante – racconta il capo progetto di MSF -. La capacità dei campi ufficiali, dove le condizioni igieniche ed abitative sono ragionevoli, è di circa 7 mila persone. Ma ci sono decine di migliaia di individui che non trovano posto all’interno dei campi e vivono in insediamenti spontanei, spesso in condizioni di sovraffollamento, senza acqua potabile, rete fognaria e corrente. Altri ancora vivono in strada. In collaborazione con altre organizzazioni, stiamo lavorando anche per ampliare l’accesso all’acqua nei campi ufficiali e informali e stiamo distribuendo kit per l’igiene sul posto. Il lavoro del personale sanitario a Boa Vista presta particolare attenzione alle persone con malattie pre-esistenti, perché sono le più vulnerabili al Covid-19. MSF fornisce anche formazione sulle misure di controllo e prevenzione dell’epidemia agli operatori sanitari che lavorano nell’ospedale allestito dal governo a Boa Vista per assistere i pazienti Covid».
Oltre alle misure specifiche legate al Covid-19, MSF continua a portare avanti le attività dei suoi progetti, incluse cure mediche primarie in tre strutture sanitarie pubbliche, sessioni di salute mentale nei campi ufficiali e informali e le attività di promozione della salute. «Negli ultimi anni, è arrivato nel Roraima un alto numero di migranti e richiedenti asilo fuggiti dal Venezuela. Alla fine del 2018 – racconta Hirata – MSF ha avviato attività a Boa Vista per supportare il Sistema sanitario nazionale a gestire i bisogni in aumento. Con l’epidemia, stiamo continuando questi progetti adattando parte delle attività per aiutare ad affrontare le nuove sfide del Covid-19. A Manaus, capitale dello Stato di Amazonas, MSF ha già lavorato in sei strutture per rifugiati e senzatetto, organizzando sessioni di promozione della salute, fornendo supporto sulle misure di igiene e prevenzione volte a contrastare e contenere il virus ed effettuando visite mediche per individuare persone che potessero aver contratto il virus. È inoltre in allestimento, in collaborazione con le autorità locali, un centro di isolamento e osservazione per le persone vulnerabili positive al coronavirus ma che non necessitano del ricovero ospedaliero».
La salute delle comunità indigene, che hanno limitato accesso alle cure mediche, è un elemento di grande preoccupazione per MSF: «Siamo in contatto con i leader comunitari indigeni per guidare l’assistenza in queste comunità. Le équipe di MSF hanno infatti iniziato a fornire cure anche nelle aree più remote e rurali dello stato di Amazonas, in particolare – conclude Cecilia Hirata – nel Comune di São Gabriel da Cachoeira».
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