I camici bianchi che dal nostro Paese si sono trasferiti oltremanica sono aumentati del 143% in dieci anni. Per tutti l’Italian Medical Society of Great Britain è il punto di riferimento: rinnovato il Consiglio Direttivo, Sergio Bonini è il nuovo Presidente.
E dopo che i cittadini della Gran Bretagna hanno deciso di uscire dall’Unione Europea, cosa accadrà ai tanti italiani che vivono lì? In particolare, come cambierà la vita degli operatori sanitari italiani che lavorano nel National Health Service (Nhs)? Al momento è difficile – se non impossibile – dare risposte certe al riguardo. La stessa amministrazione Cameron sembra impreparata ad affrontare la questione. Quel che è certo è che la diplomazia di sua Maestà dovrà mettersi al tavolo con i vertici dell’Ue e trattare la separazione. Si parla di un processo che durerà almeno due anni. Resta però che, anche se nulla cambia nell’immediato, da parte dei professionisti italiani in terra straniera si registrano paura e dubbi. Anche perché il dibattito politico che ha preceduto il referendum ha avuto nella sanità uno degli argomenti più trattati e usati, da una parte e dall’altra, per convincere i cittadini a votare pro o contro il quesito. È un tema sentito, dunque, sia dai cittadini (che usufruiscono del servizio sanitario) sia dai professionisti (che invece ci lavorano).
Chi era favorevole alla Brexit sosteneva che l’uscita dall’Unione Europea avrebbe liberato diversi miliardi di sterline da utilizzare per la sanità, salvo poi scoprire che quei 18 miliardi che il Regno Unito non verserà più all’Ue non andranno a risanare il Nhs. Chi invece era contrario, sosteneva che la sanità pubblica avrebbe registrato un sostanziale peggioramento, visto che la vera spina dorsale del Nhs, ovvero il personale straniero, avrebbe incontrato molte più difficoltà nell’ingresso nel mondo del lavoro.
Per quanto riguarda gli italiani, stando ai dati elaborati da Gianluca Fontana, Senior Policy Fellow and Director of Operations dell’Imperial College di Londra, il numero di medici provenienti dal nostro Paese che lavorano in Gran Bretagna è aumentato del 143% in dieci anni, passando da 1514 nel 2005 a 3680 (di cui circa 300 accademici) nel 2015. I medici di origine italiana rappresentano la sesta comunità medica nel Regno Unito, seconda solo all’Irlanda tra i Paesi europei. Insomma, di operatori sanitari italiani interessati agli sviluppi derivanti dal voto sulla Brexit, ce ne sono tanti. Ad aiutarli in questo momento di caos c’è l’ Italian Medical Society of Great Britain (IMS-GB), che rappresenta la maggiore Società Scientifica dei medici italiani in Gran Bretagna e che ha come obiettivo principale proprio quello di fornire un orientamento ed un supporto allo sviluppo professionale e di carriera dei medici italiani in UK, favorendone anche il networking e le relazioni con altre istituzioni e società scientifiche e avviando un dialogo anche con realtà di tutela medica in Italia, come sta avvenendo in queste settimane con Consulcesi. L’IMS-GB ha da poco rinnovato il proprio Consiglio Direttivo, affidando la presidenza a Sergio Bonini, Professore Ordinario di Medicina Interna e Associato di Ricerca dell’Istituto di Farmacologia Traslazionale del CNR, attualmente distaccato dalla Seconda Università di Napoli come esperto nazionale presso l’European Medicines Agency, Senior Medical Officer. In una nota, il nuovo presidente fa sapere che se da un lato «continuerà a favorire la formazione e l’inserimento dei giovani medici che intendono completare la loro formazione con uno stage presso istituzioni inglesi e a facilitare la progressione di carriera di quelli gia’ operanti in UK», dall’altro «cercherà di attuare tutte le possibili iniziative atte a favorire il contro-esodo di tutti i medici che volessero rientrare nel nostro Paese, apportando il contributo dell’esperienza acquisita al miglioramento della qualita’ scientifica e professionale del nostro sistema sanitario».