L’ONU ha espresso la sua decisione dopo aver analizzato una denuncia presentata da un cittadino italiano, caregiver sia della figlia che del partner, entrambe persone con disabilità. A pochi giorni dalla sentenza, l’ennesima morte bianca del welfare
Arrivati ad ottant’anni si è troppo stanchi per continuare a lottare, anche se quella che si sta combattendo è una battaglia per il riconoscimento dei diritti più elementari. Così, un anziano padre ha preso un coltello ed ha ucciso sua figlia, una donna di 47 anni affetta da una grave disabilità fin dalla nascita.
Poi, con la stessa arma si è suicidato. Arrivato al capolinea della sua esistenza, incapace di continuare ad essere un caregiver, a prendersi cura di sua figlia come aveva fatto ogni giorno da quasi mezzo secolo, non ha trovato altra via d’uscita. Una tragedia, l’ennesima, che allunga ulteriormente la lista delle cosiddette morti bianche del welfare.
Il gesto estremo è stato compiuto a pochi giorni dalla condanna dell’Italia, da parte dall’ONU, per il mancato riconoscimento dei diritti umani del caregiver. «Il comitato dell’ONU ha espresso la sua decisione dopo aver analizzato una denuncia presentata da un cittadino italiano, caregiver sia della figlia che del partner, entrambi persone con disabilità – racconta Maria Amalia Meli, presidente dell’Associazione Famiglie Disabili Lombarde -. L’ONU ha esortato l’Italia a fornire un risarcimento adeguato all’uomo ed alla sua famiglia, nonché tutti i servizi di assistenza di cui necessitano». Ma, accanto a chi ha la forza di denunciare, arrivando persino alle Nazioni Unite, c’è chi, invece, non ce la fa. Basta sfogliare le pagine di cronaca a ritroso per un paio di mesi ed ecco un’altra tragedia analoga a quella avvenuta poche settimane fa: un uomo di 74 anni si è ucciso con la figlia di 31 anni affetta da grave disabilità, intossicando entrambi con i gas di scarico della sua auto.
«In Italia – spiega la presidente Meli – la figura del caregiver è riconosciuta come tale, ma ancora manca una norma nazionale completa che ne sancisca diritti e tutele. In questa direzione una strada è stata intrapresa: alla Camera ed al Senato, finora, sono stati presentati 11 disegni di legge. Ne è un esempio il ddl 2128, noto anche come ddl Bignami, che disciplina le “Norme per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare” che, tuttavia, andrebbe integrato con un articolo specifico che possa sancire e quantificare le risorse necessarie a garantire servizi adeguati ad ogni persona con disabilità ed al suo caregiver».
«Negli ultimi mesi, poi, anche alcune Regioni sono intervenute sull’argomento redigendo delle bozze. La prima è stata l’Emilia-Romagna, poi anche Lazio e Lombardia hanno seguito lo stesso percorso, presentato le proprie proposte di legge il mese scorso», aggiunge Meli. Ma anche a livello regionale non mancano le difficoltà: «Le bozze delle tre Regioni differiscono già nella sola descrizione di caregiver. C’è chi la definisce “una scelta volontaria”. Ma nessuno – assicura Meli che, prima di essere presidente dell’associazione, è un caregiver – sceglie di essere caregiver. Ci si trova ad esserlo. E ciascuno prende questo ruolo con amore e responsabilità. Una scelta presuppone necessariamente un’alternativa e noi un’alternativa non ce l’abbiamo, se non quella di chiudere il nostro caro in un istituto con la conseguenza che costerebbe molto di più anche allo Stato e alla collettività».
Sono molti, dunque, i nodi che ancora restano da sciogliere. Ma è probabile che grazie alla decisione espressa dall’Onu, ora, l’Italia provvederà ad accelerare il passo sul tema. Entro sei mesi, infatti, dovrà presentare al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, una risposta scritta su quali azioni intenda attuare per colmare queste gravi lacune, a tutela della figura del caregiver. «La condanna espressa dall’ONU dona nuove speranze alle persone con invalidità ed alle loro famiglie e, soprattutto – conclude la presidente dell’Associazione Famiglie Disabili Lombarde -, auspichiamo possa fornire un indirizzo alla classe dirigente sugli impegni e le azioni concrete necessarie a tutelare i diritti di tutti».
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