Il premier ha difeso le decisioni prese in costante confronto con il Comitato tecnico scientifico: «Dal 4 maggio mobiliteremo 4,5 milioni di italiani, non è scelta timida. Dal 18 maggio sapremo com’è andata»
«Il governo non può assicurare il ritorno immediato alla normalità della vita precedente, mi piacerebbe ma dobbiamo avere la consapevolezza che il virus sta continuando a circolare: abbiamo 105mila casi accertati senza contare casi asintomatici non accertati». Queste le battute iniziali del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, alla Camera prima e al Senato poi.
Non siamo ancora usciti dalla pandemia e il premier ha ribadito che qualsiasi atteggiamento ondivago comporterebbe un certo aumento dei contagi. Riaprire tutte le attività non è una soluzione possibile e solo intorno al 18 maggio ci sarà un quadro più chiaro. « Al termine delle due settimane successive al Dpcm che entrerà in vigore dal 4 maggio avremo un quadro più chiaro – ha spiegato Conte – e potremo valutare, senza azzardi, un ulteriore allentamento delle misure contenitive».
Condizione necessaria per riavviare il Paese in sicurezza è che la curva dei contagi non cresca. «Non è una scelta timida – ha tenuto comunque a ribadire il premier –. Mobiliterà 4,5 milioni di italiani e sarà un test per la tenuta del sistema». Ogni decisione è stata presa con il confronto costante con il Comitato tecnico scientifico, autore del rapporto circolato qualche giorno fa.
«Rapporto che non è mai stato segreto – ha puntualizzato Conte – in quanto è imperativo categorico per un governo che deve proteggere la vita dei cittadini porre a fondamento delle proprie decisioni non libere opinioni ma raccomandazioni del mondo scientifico».
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Nello scenario peggiore del report, con una riapertura pressoché totale, si parlava di 150mila in terapia intensiva soltanto a giugno. Quattro i principali fattori di contagio: famiglia, scuola, lavoro e comunità. Specie i contagi familiari sfuggono al controllo generale e da lì provengono un quarto dei nuovi positivi.
«Stiamo affrontando un’emergenza senza precedenti della storia della nostra Repubblica – ha ammesso il Presidente –, una dura prova per tutte le democrazie avanzate colpite dalla pandemia che ci ha costretti a rivedere i modelli di vita, a ripensare il nostro modello di sviluppo». Una prova che ha però accresciuto il valore reputazionale dell’Italia all’estero, per merito dei cittadini, ha tenuto a sottolineare Conte, lodandone i comportamenti virtuosi.
A dare una cifra della gravità dello scenario è il Def, che mostra una contrazione dell’8% del Pil italiano. Il Presidente ha parlato di «una previsione che sconta la caduta del Pil del 15% nel primo trimestre e prevede un rimbalzo con «una crescita del 4,7% nel 2021». Nel Def sono previsti anche scenari peggiori: se il virus persistesse si arriverebbe a una contrazione di -10,4%.
«Il governo ha varato una serie di misure per fronteggiare la crisi – la rassicurazione –, queste misure sono state inserite nel Cura Italia e nel dl Liquidità. Il prolungamento della chiusura di molte attività produttive rende necessari ulteriori provvedimenti. Il prossimo decreto legge conterrà ulteriori sostegni a lavoratori e imprese».
In conclusione del suo discorso Conte torna sulle accuse di aver limitato le libertà personali dei cittadini: «Quei principi non sono stati né trascurati né affievoliti. Il 31 gennaio è stato deliberato per sei mesi lo Stato di emergenza di rilievo nazionale da cui discendono precise conseguenze giuridiche. Sono ben consapevole della responsabilità che mi sono assunto ogni volta che ho posto la firma su un atto, ma ho avuto sempre consapevolezza di agire in scienza e coscienza rispetto alla tutela di un diritto primario».
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