Il paziente, Tom Manning, cui era stato amputato l’organo per un cancro, è il terzo uomo al mondo a sottoporsi all’intervento. Il medico: «Abbiamo utilizzato la stessa tecnica che si usa con tessuti molli come la faccia o la mano»
Tom Manning è un paziente americano cui, nel 2012, è stato diagnosticato un cancro al pene. Con un tumore raro che colpisce un uomo ogni 100mila ma che è particolarmente aggressivo, l’unica soluzione per salvare Manning era la rimozione di tutto l’organo. Più o meno nello stesso periodo, il chirurgo plastico Curtis Cetrulo studiava un modo per aiutare i 1367 soldati americani che avevano riportato ferite ai genitali in guerra tra il 2001 e il 2013. Il 31% di questi ha subito una o più amputazioni, che ne causavano un forte calo di autostima e di qualità di vita e li rendevano particolarmente inclini al suicidio.
L’incontro tra Cetrulo e Manning era inevitabile. È avvenuto nel 2016 ed è stato precursore del primo trapianto di pene negli Stati Uniti, il terzo al mondo. Gli altri due pazienti sono stati un cinese, che tuttavia ha richiesto la rimozione del nuovo pene per un rifiuto psicologico, e un ragazzo sudafricano che, dopo il trapianto, è addirittura riuscito a diventare padre. Per procedere con il trapianto, è prima necessario trovare un pene dello stesso gruppo sanguigno del paziente, con caratteristiche e tono della pelle soddisfacente e che ha superato lo screening delle malattie trasmissibili. Uno dei passaggi più difficili da superare, inoltre, è ottenere l’autorizzazione della famiglia del donatore: in un caso, ad esempio, la famiglia ha accettato l’espianto solo con la promessa che al defunto sarebbe stata realizzata una protesi per la sepoltura.
L’intervento su Tom Manning è riuscito: dopo tre settimane era in grado di urinare da solo, ma sembra che non abbia ancora avuto rapporti sessuali. Il dottor Curtis Cetrulo, che attualmente lavora presso il Massachusetts General Hospital di Boston, sta lavorando a nuove tecniche che potrebbero ridurre la quantità di farmaci antirigetto che devono essere assunti per lunghi periodi, rischiando lo sviluppo di gravi problemi renali e tumori. Recentemente è intervenuto al convegno “Frontiers in Genito-Urinary Reconstruction” organizzato presso l’Università Tor Vergata di Roma, dove ha incontrato Sanità Informazione.
«La tecnica utilizzata per il trapianto di tessuto genito-urinario – afferma ai nostri microfoni – si basa su quella usata per il trapianto di altri tessuti molli come quelli della mano o della faccia, che ormai vengono eseguiti in tutto il mondo. Le tecniche tradizionali di trapianto hanno dei limiti: sono efficaci in alcune persone, ma alcune delle ferite riportate dai veterani americani erano talmente gravi che abbiamo deciso di provare a sfruttare le nostre conoscenze nel trapianto di tessuti molli ed utilizzarle sul tessuto genito-urinario. E abbiamo scoperto che la procedura funzionava».
«Dobbiamo acquisire ancora molta esperienza – spiega Curtis Cetrulo – e capire quali sono i pazienti più adatti per questo genere di procedura: se i pazienti oncologici o che hanno subito un trauma pelvico o avuto una infezione, che sono le cause più comuni che portano all’amputazione del pene. Speriamo che lavorando insieme a questo gruppo composto dai massimi esperti al mondo nel campo, riusciremo presto a prendere le decisioni migliori per i nostri pazienti», conclude.