Il testo presentato in Commissione Affari Sociali prevede che potranno essere nominati in quel ruolo anche medici che hanno diretto strutture semplici e non per forza complesse. «Così si evitano i soliti nomi e vi è una più ampia possibilità di scelta» aggiunge il deputato del Carroccio
Una risoluzione targata Lega potrebbe aprire le porte delle direzioni tecnico sanitarie delle strutture anche a medici primari che hanno diretto per 5 anni una struttura semplice e non per forza strutture sanitarie complesse. Il testo è stato presentato in Commissione XII Affari Sociali della Camera dei deputati dal deputato leghista Paolo Tiramani e cofirmata dai leghisti Massimiliano Panizzut, Rossana Boldi, Guido De Martini, Sara Foscolo, Arianna Lazzarini, Mauro Sutto, Edoardo Ziello.
La risoluzione impegna il governo ad assumere le iniziative di competenza, anche ricorrendo ad una circolare interpretativa, per chiarire che il requisito minimo della «qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione…non richieda imprescindibilmente lo svolgimento da parte del candidato di attività di direzione tecnico-sanitaria quinquennale di struttura organizzativa complessa e risulta, conseguentemente, integrato anche nel caso in cui la medesima attività di direzione tecnico-sanitaria abbia riguardato una struttura organizzativa semplice».
«Abbiamo presentato questa risoluzione – spiega Tiramani a Sanità Informazione – per chiarire un vuoto normativo che da troppi anni assilla le regioni. Ci sono regioni che interpretano la norma cercando medici primari di struttura complessa come direttori sanitari e altri che già usano la versione, a nostro dire più logica, aprendo a chi ha diretto per 5 anni una struttura semplice».
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Il problema è interpretativo: la legge 171 del 2016 disciplina la procedura per il conferimento dell’incarico di direttore sanitario delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del servizio sanitario nazionale. Secondo la norma il direttore sanitario è nominato dal direttore generale, «attingendo obbligatoriamente agli elenchi regionali di idonei, anche di altre regioni, appositamente costituiti, previo avviso pubblico e selezione per titoli e colloquio». Tra i requisiti la norma prevede che il direttore sanitario sia un medico «che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione». La norma dunque non fa alcuna distinzione tra attività di direzione di struttura organizzativa semplice o di struttura organizzativa complessa. Tuttavia numerose regioni hanno dato una lettura «erroneamente restrittiva del requisito in esame», riservando l’accesso alle procedure selettive ai soli candidati che abbiano diretto per almeno cinque anni una struttura organizzativa complessa. «Un equivoco di natura interpretativa» – secondo i firmatari della risoluzione – «alla base di tali decisioni regionali restringe in maniera ingiustificata la platea di candidati ed in maniera altrettanto ingiustificata rende più difficoltosa la copertura dei posti vacanti».
«Chiaramente – spiega Tiramani – cambia molto per le Asl che così possono attingere a un bacino più ampio di persone. Soprattutto si evitano i soliti nomi come direttore sanitario delle Asl e vi è una più ampia possibilità di scelta, andando a individuare anche medici relativamente più giovani che possono provare a fare questa esperienza. Oggi quale primario di struttura complessa lascerebbe tutta la sua attività in reparto per fare il direttore sanitario visto anche l’esiguo emolumento? Nessuno. Tant’è che ci si sta orientando verso i medici igienisti o chi è prossimo alla pensione. Così sarà una rivoluzione culturale a tutto campo».