Il fondatore di Parent Project onlus: «L’obiettivo del prossimo anno è dedicare nuove sperimentazioni anche a giovani e adolescenti: chi è già in carrozzina ha più urgenza di trovare una soluzione, rispetto a coloro che hanno appena ricevuto la diagnosi».
Si chiama CRISPR/Cas9 ed è una sorta di forbice molecolare in grado di eliminare o sostituire sequenze di DNA, che possono essere così riprogrammate o modificate. «Una nuova tecnica di editing che permette di affrontare la distrofia muscolare di Duchenne in maniera molto più mirata», ha spiegato, ai microfoni di Sanità Informazione, Filippo Buccella, fondatore di Parent Project onlus, l’associazione di pazienti e genitori che convivono con questa patologia genetica rara.
CRISPR/Cas9 è la “stella” della XVII Conferenza Internazionale sulla distrofia muscolare di Duchenne e Becker, appuntamento annuale organizzato da Parent Project onlus. È una nuova tecnica presentata alle famiglie che lottano quotidianamente con questa rara patologia genetica che, ad oggi, non conosce cura: «Mentre con le precedenti esperienze di terapia genica si faceva un lavoro approssimativo – ha sottolineato Buccella – con il CRISPR/Cas9 si riesce a puntare sulla singola mutazione in modo molto più accurato».
Quella di Duchenne è la più grave delle distrofie muscolari, colpisce un neonato ogni 5 mila maschi, si manifesta in età pediatrica e causa una progressiva degenerazione dei muscoli. La distrofia di Becker è, invece, una forma meno grave e con un’incidenza nettamente minore. «Tutte le nostre attività quotidiane sono legate all’utilizzo di una o più parti della muscolatura – ha aggiunto il fondatore di Parent Project onlus – cosicché, quando un muscolo ha un problema e non si ricostituisce come dovrebbe, insorgono patologie degenerative che peggiorano con la crescita, fino ad avere, spesso, esiti letali legati a problemi cardiaci o respiratori».
Ma il progresso scientifico pur non avendo donato una cura a questi malati ha allungato e migliorato la loro aspettativa di vita: «Sono trascorsi circa 20 anni da quando i medici hanno diagnosticato questa a patologia a mio figlio – ha raccontato Buccella -. All’epoca si prevedeva che lui potesse non superare i 15 anni. Oggi ne ha 28». Attualmente, scompensi cardiaci e problematiche respiratorie, conseguenze della distrofia di Duchenne, sono tenute sotto controllo attraverso la somministrazione di specifici farmaci. Molto c’è da fare, invece, per la deambulazione: «Grazie al cortisone siamo in grado di allungare un po’ i tempi – ha detto Buccella – ma poi, inevitabilmente, intorno all’adolescenza questi ragazzi hanno bisogno di una carrozzina per poter camminare e muoversi».
Alla Conferenza 2019 di Parent Project onlus hanno partecipato centinaia di pazienti, familiari, volontari, medici e ricercatori, aziende del settore farmaceutico. Un momento di confronto internazionale anche sul tema dei finanziamenti alla ricerca scientifica. «L’Italia continua ad essere un polo importante anche a livello mondiale – ha assicurato il presidente di Parent Project onlus -. Ma i fondi pubblici a disposizione sono insufficienti ed anche di difficile accesso. Molto più efficace è, invece, il contributo dei privati: grazie a famiglie e associazioni, direttamente schierate in prima linea, si raccolgono fondi da destinare ai ricercatori, tagliando di molto i tempi di attesa».
Alla XVII Conferenza Internazionale sulla distrofia muscolare di Duchenne e Becker, conclusasi nei giorni scorsi a Roma, è stata dedicata una particolare attenzione anche alla vita pratica dei pazienti e delle loro famiglie. Dalla fisioterapia motoria e respiratoria, agli aspetti nutrizionali, all’integrazione scolastica, fino al ruolo dei fratelli di bambini o ragazzi affetti dalla patologia. Ancora, pianificazione delle gravidanze per le donne portatrici, affettività e sessualità, barriere architettoniche, leggi e diritti. «Lavoriamo affinché a tutte le famiglie, assieme alla diagnosi, sia offerta anche una speranza – ha detto Buccella -. Non è raro che si reagisca perdendo la voglia di pensare al futuro. Ed invece questi bambini devono andare a scuola, condurre una vita quanto più normale possibile. Se il paziente ha una reale voglia di vivere, sarà lui stesso a trasmetterla a tutti coloro che gli sono accanto».
Ed anche in questa direzione di strada da fare ce n’è: «Oggi moltissime delle sperimentazioni prendono in considerazione la battaglia più facile – ha spiegato il presidente dell’Associazione -. Si tratta di bambini molto piccoli che ancora non hanno segni della malattia così forti da influenzare negativamente qualsiasi tipo di trattamento e sperimentazione. Ed invece proprio i ragazzi più grandi, coloro che sono già in carrozzina, hanno ancora più urgenza e fretta di trovare una soluzione al loro problema. Per questo – ha concluso Buccella- , ci auguriamo che già durante la Conferenza del prossimo anno potremmo raccontare di nuove sperimentazioni che includano anche giovani ed adolescenti».