La capogruppo M5S al Senato Mariolina Castellone sottolinea: «Dobbiamo investire non solo in formazione del personale sanitario, ma anche nella valorizzazione contrattuale». Sull’emergenza-urgenza spiega: «Va riconosciuto anche il rischio che questi operatori corrono ogni giorno recandosi al lavoro in quelli che sono i reparti in assoluto più esposti a questo rischio di aggressioni»
Più risorse alla sanità pubblica e stop alle differenze nell’assistenza sanitaria tra regioni del Nord e del Sud. Sono alcuni dei punti cardine del programma sanità del MoVimento 5 Stelle che ha illustrato a Sanità Informazione Mariolina Castellone, capogruppo M5S in Senato e ricercatrice oncologa al CNR, da sempre in prima linea sui temi della sanità. «Parlare di spesa storica significa accettare il fatto che la vita di un cittadino che nasce in una regione vale meno della vita di un cittadino che nasce in un’altra» sottolinea Castellone, spiegando le ragioni che inducono il MoVimento a chiedere una revisione del riparto del Fondo sanitario nazionale.
Tra i punti cardine del programma la revisione del Titolo V della Costituzione per una sanità più controllata a livello centrale e la valorizzazione del personale sanitario rivedendo i contratti e i fabbisogni di personale. «Nella prossima legge di Bilancio servono più risorse da investire sul personale perché nel PNRR non ci sono fondi da destinare a questo scopo» spiega Castellone. Infine, coerentemente con la linea tracciata in questi anni, la proposta di rivedere l’accesso alla facoltà di Medicina, con una riforma sul modello francese: «Il test attuale non è in grado di intercettare la reale vocazione a svolgere la professione di medico» sottolinea la senatrice di Villaricca.
«Il nostro programma ha riscontrato grande apprezzamento da parte di tutti i sindacati medici, veterinari e delle professioni sanitarie. È un percorso che abbiamo fatto assieme provando ad invertire la rotta e tornando a investire in un settore che è quello sanitario al quale purtroppo sono state tagliate tante risorse: in dieci anni avevamo perso 37 miliardi di euro del Fondo sanitario nazionale. Adesso stiamo investendo ed è fondamentale programmare partendo dalla necessità di personale sanitario. Il personale è poco, non valorizzato e poco tutelato.
Nel nostro programma abbiamo scritto nero su bianco che quello è uno dei pilastri su cui costruire la sanità del futuro. Dobbiamo investire non solo in formazione del personale, ma anche nella valorizzazione contrattuale. E poi abbiamo presentato quella che è la nostra visione di una nuova gestione della sanità, partendo dal rapporto tra pubblico e privato, tra Stato e regioni, tra diversi criteri di nomina nella sanità, puntando sulla prevenzione primaria e secondaria. La nostra visione è chiara, i fondi sono più cospicui ma molto di più deve essere fatto nella prossima legge di Bilancio per investire proprio sul personale perché nel PNRR non ci sono fondi da destinare al personale».
«Quello è un punto fondamentale. Noi riteniamo che alcuni settori come quello dell’emergenza-urgenza vadano tutelati anche dal punto di vista contrattuale. Ce lo dicono i numeri: sono migliaia le aggressioni al personale sanitario ogni anno, noi abbiamo approvato una legge che rende procedibile d’ufficio tutte le aggressioni al personale sanitario, ma va riconosciuto anche il rischio che questi operatori corrono ogni giorno recandosi al lavoro in quelli che sono i reparti in assoluto più esposti a questo rischio di aggressioni».
«La legge Gelmini deriva da una proposta del ministro Boccia e sappiamo bene che alcuni governatori dem come Bonaccini vogliono rafforzare l’autonomia differenziata. Per noi, dopo una pandemia che ci ha mostrato quanto la tutela della salute debba essere unitaria su tutto il territorio nazionale, parlare ancora di autonomia differenziata e utilizzare il criterio della spesa storica in attesa della definizione dei livelli essenziali di prestazioni è anacronistico. Parlare di spesa storica significa accettare il fatto che la vita del cittadino che nasce in una regione vale di meno della vita del cittadino che nasce in un’altra. Da quello che si investe in sanità, da come si programma dipende la vita o la morte dei cittadini».
«Noi siamo per un graduale superamento del numero chiuso, l’abbiamo sempre detto. Tenendo presente che ci sono alcuni modelli che possono rappresentare la via d’uscita. La strada da seguire è quella di un biennio comune a tutte le facoltà scientifiche, sul modello francese, e poi prevedere un criterio di accesso a Medicina che sia certamente più meritocratico e che risponda di più a quella che è la vocazione dei giovani che scelgono questo percorso. Oggi sappiamo bene che il test non rispecchia le capacità in determinate materie ma non è in grado di intercettare la reale vocazione a svolgere la professione di medico. Fare il medico non è solo superare degli esami ma anche essere portati a quel tipo di servizio. Due anni comuni a tutte le facoltà scientifiche potrebbero offrire ai giovani che intraprendono questo percorso il tempo di maturare una scelta più consapevole».
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