Come? «Imitiamo gli altri paesi europei», ne è convinto l’ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana in corsa alle Europee per il Partito democratico nella circoscrizione Nord est. «Nel prossimo programma quadro, il nono, 110 miliardi di euro, il 10% del totale del programma è destinato a ricerca e innovazione L’Italia può portare nel proprio sistema più soldi di quanto investe in alcuni settori»
È stato per quattro anni direttore dell’Agenzia spaziale europea. E ora, terminato l’incarico all’Asi, tenta il salto in Europa nelle fila del Pd candidato nella circoscrizione Nord est. Parliamo di Roberto Battiston, Fisico sperimentale con un passato fra le altre cose all’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), che a Sanità Informazione parla di ricerca, delle enormi opportunità che ci sono in Europa e del tema della ‘fuga dei cervelli’, per Battiston una vera e propria emergenza, che naturalmente riguarda da vicino anche il mondo della medicina. «Negli ultimi anni con una crescita del 10% all’anno vanno via ogni anno circa 300mila persone in Italia che corrispondono a una città come Catania. Un numero intollerabile, sono persone, professionisti, giovani, donne, con una formazione anche di diverso profilo, ma che hanno una caratteristica: vanno via in proporzione più laureati, più alti livelli professionali di quelli che rimangono in Italia». Allora cosa fare? Secondo Battiston, è proprio in Europa che bisogna guardare per capire come fanno gli altri paesi europei a trattenere i migliori giovani. «Credo che dovremmo usare l’Europa e gli altri paesi che sono oggi poli di attrazione per queste persone per capire come rendere l’Italia il polo di attrazione e con i nostri soldi presi in Europa»
L’Europa gioca un ruolo importante nella ricerca, tanti soldi in ogni bilancio. Cosa si può fare di più su questo in Europa?
«Ricordiamo i numeri: nel prossimo programma quadro, il nono, 110 miliardi di euro, il 10% del totale del programma è destinato a ricerca e innovazione e altri 16 miliardi di euro sono destinati alla parte delle infrastrutture spaziali che sono una tematica legata all’innovazione in modo molto forte. Una montagna di soldi che dobbiamo riportare in Italia secondo un principio di competitività. L’Italia può portare nel proprio sistema più soldi di quanto investe in alcuni settori. L’esempio è il caso spaziale: nei miei anni all’Agenzia spaziale siamo riusciti a portare indietro il 3% in più rispetto al 12% di investimento nel settore spaziale. Si può fare, possiamo vincere questa battaglia. Naturalmente non basta l’impegno politico, occorre la capacità di industria e ricerca di fare le proposte valide, ma occorre operare in modo coordinato e soprattutto intercettare e riportare in Europa gli elementi fondamentali di queste scelte affinché il mondo della ricerca possa beneficiarne. Poi c’è un problema più strategico: noi parliamo sempre di immigrazione nel nostro paese, ma abbiamo visto che i numeri sono tutto sommato limitati, c’è un problema di integrazione, di formazione, di gestione, ma non è un problema numerico.
Mentre abbiamo un problema numerico gigantesco di cui non parliamo mai: negli ultimi anni con una crescita del 10% all’anno vanno via ogni anno circa 300mila persone in Italia che corrispondono a una città come Catania. Un numero intollerabile, sono persone, professionisti, giovani, donne, con una formazione anche di diverso profilo, ma che hanno una caratteristica: vanno via in proporzione più laureati, più alti livelli professionali di quelli che rimangono in Italia. Non è possibile per un paese come il nostro un dissanguamento come questo. Perché accade? Sono persone che non amano l’Italia? Sono persone che hanno scelto molto spesso con fatica e dolore per reinventarsi e riproporsi in altri paesi, molto spesso europei, dove c’è un ecosistema più adatto per lavorare, fare famiglia, prendersi responsabilità senza diventare vecchi. Siamo un paese, l’Italia, in cui i giovani sono messi in parcheggio perché i vecchi non gli lasciano la possibilità di prendersi la responsabilità che fanno crescere le persone, un paese. Bene, queste persone decidono di lasciare il paese a un ritmo che sta aumentando. Si era fermata l’emigrazione italiana alla fine del secolo scorso. Ora è ripresa, ed è una immigrazione che è la cartina di tornasole di qualcosa che non va.
Quando noi riusciremo a rendere il nostro paese più affidabile, più attrattivo, in grado di dare un senso di fiducia a coloro che devono investire i prossimi trent’anni della propria vita, avremo ottenuto un grande risultato. Naturalmente non è una cosa semplice, perché il motivo per cui la gente se ne va è la somma di tanti fattori ma io credo che dovremmo usare l’Europa e gli altri paesi che sono oggi poli di attrazione per queste persone per capire come rendere l’Italia il polo di attrazione e con i nostri soldi presi in Europa aiutare questa ridefinizione degli obiettivi e dei traguardi e delle mete della vita delle persone affinché siano motivati a investire nel nostro paese. Se non facciamo questo con una natalità bassissima, con una immigrazione gestita in modo assolutamente improvvisato e una perdita sistematica di ricchezza umana che destino possiamo pensare per il nostro paese? Dobbiamo invertire questa tendenza, concentraci su qualche cosa di cui non si discute mai che è la perdita delle competenze del nostro paese. Quindi è una grande sfida ma l’Europa mette a disposizione molte risorse per la riqualificazione delle professioni. Gli strumenti in Europa ci sono, basta usarli bene. Prendere anche spunto dalle strategie che gli altri paesi europei con successi stanno implementando per trattenere i propri giovani e attirare i nostri ragazzi».
L’Europa può giocare un ruolo importante anche sulle nuove tecnologie: noi ad esempio ci siamo occupati della blockchain ma ce ne sono tante. Cosa si può fare a Bruxelles su questo?
«Intanto l’agenda che definisce l’implementazione del nono programma quadro avrà ripetutamente degli aggiustamenti e in questo la presenza nel Parlamento e nelle commissioni che sostengono queste discussioni, tipo ITRE, che è quella più importante, sarà uno degli obiettivi della mia attività europea. Ma voglio tornare sul tema dell’emigrazione. Ricordiamo che noi abbiamo spesso nei Grant europei dati sul merito e sulle capacità delle persone e vincitori italiani anche numerosi che però scelgono, una volta vinto il Grant, di spenderlo in un altro paese europeo e non in Italia nonostante da noi si facciano degli sforzi anche nel mondo universitario per offrire anche delle posizioni permanenti per chi porta questi grossi contratti in Italia. Qualcuno ancora, purtroppo non pochi, esitano o decidono di andarselo a spendere in Europa, come è permesso dai regolamenti. Dobbiamo capire perché questo accade. Perché persone che hanno avuto una formazione in Italia, che stanno utilizzando risorse che di fatto sono risorse italiane investite in un contesto europeo che avrebbero le porte aperte in un mondo universitario o di enti di ricerca, perché decidono di cambiare direzione. Se noi capiamo bene questo tipo di problema forse troviamo anche gli elementi per la sua soluzione».