Le acque, che possono contenere trizio e carbonio 14, verranno rilasciate in una vasta zona di pesca. Le mamme di Fukushima: «Misuriamo le radiazioni nel cibo prima di mangiare, la nostra vita non tornerà mai alla normalità»
Le madri di Fukushima misurano costantemente la radioattività degli alimenti per proteggere i bambini. «La contaminazione radioattiva è un problema che continuerà non solo per la nostra generazione, ma anche per le generazioni di bambini che nasceranno in futuro. Tenendo conto dei prossimi 100 anni, dobbiamo pensare seriamente a cosa possiamo fare ora per i nostri figli». Yoshitaka Oda rappresenta l’associazione “Terachine”, che riunisce anche “NPO – Mothers’ Radiation Lab Fukushima”, il laboratorio delle mamme di Fukushima. «Alcuni alimenti accumulano materiale radioattivo più di altri. Non si può dire se un particolare alimento è contaminato o meno solo guardandolo; quindi mangiamo il cibo solo dopo aver misurato le radiazioni e aver verificato che il livello sia sicuro. La nostra vita non è tornata alla normalità, non pensiamo che lo sarà mai».
A fine ottobre si è ripresentato il problema dello smaltimento delle acque derivanti dalle cisterne di Fukushima. Il primo ministro giapponese Yoshihide Suga ha dichiarato che il suo governo sta lavorando agli ultimi dettagli di un piano per rilasciare enormi quantità di acqua contaminata immagazzinata nella centrale nucleare di Fukushima. «Non possiamo rimandare per sempre la nostra decisione senza fare un piano» ha detto, specificando che l’impianto sta esaurendo lo spazio di stoccaggio. Il primo ministro non ha fornito una tempistica, anche se una decisione è prevista nelle prossime settimane.
Ma le scelte del governo avranno riverberi, direttamente o indirettamente, anche sull’Europa. La zona Fao 60, dove avverrebbe il possibile rilascio dell’acqua decontaminata, riguarda una vasta area ittica.
Attualmente, più di 1,2 milioni di tonnellate di acqua contaminata si sono accumulati in circa 1.000 vasche. La capacità delle attuali cisterne previste dalla Tokyo Electric Power Company (TEPCO) è di circa 1,3 milioni di tonnellate, e se l’acqua contaminata si accumula al ritmo attuale, si calcola che tutti i serbatoi saranno pieni nel giro di 18-20 mesi circa.
Al momento non esiste una tecnologia che possa rimuovere completamente le sostanze radioattive dalle acque di decantaggio. L’ALPS (Advanced Liquid Processing System) può rimuovere diversi radionuclidi ma alcuni elementi possono rimanere nell’acqua decontaminata: «I sistemi di trattamento attualmente installati sono in grado di rimuovere cesio-137, stronzio-90 ed altri isotopi radioattivi, con l’eccezione del trizio che è possibile allontanare con costi che appaiono economicamente non sostenibili», ci spiega Vito Felice Uricchio, ricercatore del CNR ISRA (Istituto di ricerca sulle acque).
«È difficile valutare i rischi per la salute correlati al trizio, poiché sono disponibili pochi studi con informazioni dirette sull’esposizione al trizio in basse dosi, ma alcune cose sono deducibili dalla letteratura. È ampiamente accettato che l’esposizione al trizio possa causare danni al DNA e ad altre molecole biologiche anche a dosi di radiazioni di basso livello, mentre non ci sono prove che il rischio di cancro possa aumentare a basse dosi di esposizione al trizio». Pertanto, il dibattito scientifico sui potenziali effetti sulla salute umana delle radiazioni di trizio a basso livello è ancora aperto, e molti dubbi potrebbero essere dissolti da un studio attualmente in corso in Giappone.
Se non cambierà nulla, appare inevitabile la soluzione di rilasciare le acque nell’oceano: questa strategia è motivata dalla possibilità di ottenere un importante effetto “diluizione” che è consentito in Giappone ma, come ci ricorda Vito Felice Uricchio, «vietato dal nostro ordinamento». Inoltre, la normativa europea e giapponese sui limiti e la sicurezza del trizio sono diverse: 10.000 baquerel per litro in Europa contro 60.000 baquerel in Giappone, dove la legge regola solo la concentrazione al momento dello scarico, non la quantità totale.
Oltre al trizio, in acqua finirebbe anche il Carbonio 14, come ci conferma Francesco Bochicchio, direttore del Centro nazionale per la protezione dalle radiazioni dell’Istituto Superiore di Sanità: «Il Carbonio 14 c’è, non può essere eliminato del tutto anche se diluito in acqua e può entrare nella catena alimentare, perché se ne concentra molto nei pesci che fungono da accumulatori». Anche qui, le pubblicazioni scientifiche hanno il compito di correlare esposizione e patologie.
Dall’associazione Terachine, dentro la prefettura di Fukushima, qualcosa si muove: i pescatori hanno espresso le loro preoccupazioni, seppure con molta disciplina, e in questa fase Yoshitaka Oda vuole tenera alta l’attenzione: «Sentendo la notizia del possibile scarico di acqua contaminata nell’oceano, siamo molto preoccupati per l’ulteriore esposizione alle radiazioni e per gli effetti sulla nostra salute. Il tempo di dimezzamento del trizio è di 12,3 anni. Ci vogliono più di 100 anni perché il rischio diventi notevolmente inferiore. Non solo i pesci, ma anche il prodotto marino e l’acqua dell’oceano stesso sono probabilmente contaminati. La contaminazione radioattiva continua ancora oggi, la nostra vita non è tornata alla normalità, non pensiamo che lo sarà mai».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato