Oltre 2mila medici giapponesi, soprattutto specializzandi e ricercatori, lavorano senza stipendio, contratto e assicurazione. È quanto emerge dai risultati di un sondaggio condotto in 50 ospedali universitari. Numeri che potrebbero crescere ulteriormente, considerato che all’appello mancano ancora i risultati del sondaggio di oltre 1300 medici. Gli esperti dicono che quella emersa è solo «la punta […]
Oltre 2mila medici giapponesi, soprattutto specializzandi e ricercatori, lavorano senza stipendio, contratto e assicurazione. È quanto emerge dai risultati di un sondaggio condotto in 50 ospedali universitari. Numeri che potrebbero crescere ulteriormente, considerato che all’appello mancano ancora i risultati del sondaggio di oltre 1300 medici. Gli esperti dicono che quella emersa è solo «la punta dell’iceberg», è solo una piccola parte di un fenomeno in realtà molto più ampio.
Sul tema è intervenuto il ministro dell’Istruzione Masahiko Shibayama che, come riportato da The Japan Times, ha commentato: «È una notizia spiacevole – ha detto – e adesso dobbiamo correggere la pratica di non remunerare i medici che dovrebbero essere pagati».
Una volta ricevuto il via libera dal Ministro, le università dovrebbero pagare i medici che non ricevono lo stipendio e rimborsare le ore non retribuite degli ultimi due anni, firmando inoltre i loro contratti di lavoro.
Non ricevendo uno stipendio, per potersi mantenere la maggior parte di questi professionisti è costretta a svolgere anche altri lavori part-time, arrivando quindi esausti a fine giornata, e addormentandosi spesso durante i turni in ospedale.
«Gli ospedali universitari hanno approfittato del nostro senso del dovere e ci hanno sfruttati», ha detto un medico trentenne di Tokyo che lavorava in ospedale a tempo pieno sei giorni a settimana, nonostante il suo contratto prevedesse solo 10 ore al mese. Per affrontare le spese, quindi, ha iniziato anche a lavorare di notte per 15 giorni al mese: «Ero costantemente stanco e assonnato. Un giorno, durante un intervento, stavo quasi per addormentarmi. È la vita dei pazienti, ad essere in pericolo, se la nostra stanchezza interferisce con il nostro lavoro».