Ai nostri microfoni l’autore del libro “Chi ha paura dei vaccini?”: «Essere “no vax” è una forma identitaria come tifare per una squadra di calcio»
Vaccini sì, vaccini no. Notizie vere che «collassano» su quelle false – o semplicemente incomplete –, manipolate ad arte e diffuse sia da chi «ne ha un ritorno economico», sia da chi si fa portavoce “ingenuo” di fatti non completamente veri o, banalmente, ingigantiti. Andrea Grignolio, docente di Storia della Medicina e Bioetica alla Sapienza e autore del libro “Chi ha paura dei vaccini?”, spiega ai nostri microfoni quali sono le cause principali per cui, nell’epoca della “post-verità”, veniamo costantemente fatti oggetto di una quantità enorme di informazioni che, per le loro caratteristiche, ormai non riusciamo più ad interpretare bene o a discriminare le vere da quelle inattendibili, in particolare in ambito sanitario.
Com’è cambiata nel tempo la percezione da parte dei cittadini e la consapevolezza sui vaccini? Oggi i genitori chiedono sempre più informazioni sull’argomento.
«Questo è senz’altro vero: è aumentata la consapevolezza sui vaccini. Da un punto di vista storico, la questione è cambiata perché adesso, a differenza dell’800 e di buona parte del ‘900, gli antivaccinisti sono aumentati e si sono spostati: non appartengono più alla parte meno istruita e più periferica della società ma, come testimoniano molti dati, rappresentano oggi la fascia alta della popolazione, ovvero quella più istruita e benestante».
Parlando di fake news, il web è pieno di bufale in ambito medico…
«La comunità europea ha affrontato il tema dell’epoca della “post-verità” in cui ormai viviamo e ha cercato di vedere cosa ci fosse dietro. Si è visto che esiste una mala informazione che inizia, appunto, con una cattiva notizia portata avanti senza intenzioni negative, ma solo perché chi lo fa ha raccolto informazioni false. Si può prendere come esempio il processo di Rimini, in cui l’autismo è stato erroneamente messo in relazione ai vaccini. Il dato era sbagliato, anche se senza dolo, ma ha cambiato la percezione sociale sul tema perché le persone leggevano di una sentenza del Tribunale che effettivamente collegava i due fatti nonostante tutti sappiamo che i vaccini non causano l’autismo. Questione diversa è invece l’informazione falsa che viene veicolata con dolo. Esistono tantissimi casi in cui si getta fango intenzionalmente su alcuni fatti medici. Un esempio, in questo senso, può essere Stamina, in cui un ciarlatano, che non era neanche medico, veicolava informazioni false su finte cure per tornaconto personale. Un caso classico è quello delle reazioni avverse dei vaccini, che ci sono ma sono pochissime: circa un caso su un milione. Tra tutti i farmaci i vaccini sono quelli che causano meno reazioni avverse. Basti pensare che l’aspirina ha 1.500 volte più effetti collaterali. In questo caso si tratta di mala informazione perché la portata di un fatto vero viene aumentata solo per creare paura. Tutto ciò ci fa capire come fatti veri e falsi collassino l’uno sull’altro e i ragazzi, che non hanno tutti gli strumenti per ricorrere alle fonti, fanno davvero molta fatica ad orientarsi in questo mare magnum».
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A proposito di giovani, ormai la maggior parte di loro si informa sul web. Come si combattono le fake news in ambito medico-scientifico?
«Esistono diversi studi approfonditi che dimostrano come una volta raggiunti i 30 anni diventa molto difficile cambiare idea. Essere “no vax” è una forma identitaria come tifare per una squadra di calcio. Molto si può fare invece su chi ha una posizione ambigua, e quindi né pro né contro. Ai giovani servono strumenti cognitivi adeguati, come la psicologia cognitiva. Abbiamo tantissimi studi molto approfonditi che ci confermano come nella società odierna, quella in cui esiste tantissima conoscenza che viene implementata di settimana in settimana grazie all’avanzamento scientifico, abbiamo bisogno di distruggere i blocchi che ci sono nella nostra testa e che ci rendono difficile superare i cosiddetti bias cognitivi».
Il dibattito sui vaccini è stato molto acceso anche nella recente campagna elettorale. Secondo lei la politica dovrebbe evitare di prendere posizione su questi temi?
«Bisogna distinguere tra politica e campagna elettorale. Quest’ultima è marketing e dovrebbe stare molto attenta quando fa riferimento a questioni sanitarie. La politica invece deve occuparsi molto degli aspetti sanitari, come ha fatto nel costruire il nostro Ssn, considerato tra i migliori al mondo. Quando in Italia decidiamo di fare le cose per bene, le facciamo bene, ma se la campagna elettorale deve diventare “i vaccini fanno bene”, “i vaccini fanno male”, è bene che la politica ne stia lontana, o se vuole parlarne deve valutare quel che dicono la scienza e i dati: i vaccini sono sicuri e sono il presidio medico-scientifico che ha salvato più vite nella storia dell’umanità, insieme all’acqua potabile. Insomma, non vedo cosa ci sia da discutere…».
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