Sanità 25 Febbraio 2022 15:59

Il futuro della ricerca passa per le nanotecnologie. La storia di Angelo Accardo, cervello in fuga

Il professor Angelo Accardo, “nanotecnologo” della Delft University of Technology (TU Delft) in Olanda e cervello in fuga, lavora alla creazione di micro-ambienti cellulari ingegnerizzati che tentano di imitare il tessuto cerebrale umano. Tali microstrutture biomimetiche possono portare a importanti sviluppi nel campo delle malattie del neurosviluppo e dei tumori del cervello

di Francesco Torre

Ricostruire i tessuti del cervello attraverso delle speciali microstrutture per creare delle cellule pronte da usare per sperimentazioni sempre più accurate e ‘animal free’. Sembra un’attività degna di un libro di fantascienza e invece è quello a cui lavora quotidianamente Angelo Accardo, romano, Assistant Professor presso il Department of Precision and Microsystems Engineering (PME) della Delft University of Technology, uno dei tanti cervelli italiani che, dopo un lungo cammino che lo ha portato anche in Francia, prima a Grenoble e poi a Tolosa, ha lasciato il nostro Paese e ora svolge ricerca di alto livello in Olanda. Ma non chiude le porte a un possibile ritorno in Italia «qualora vi fosse una buona opportunità. Roma ce l’ho sempre nel cuore».

Le nanotecnologie applicate alla medicina

Ingegnere elettronico, autore di numerose pubblicazioni nel campo della bioingegneria, Accardo si definisce un “nanotecnologo”, cioè si occupa della fabbricazione di strutture la cui dimensione è vicina al milionesimo di metro, comparabile al diametro di un capello umano. Grandezze infinitesimali che possono essere la chiave per le scoperte del futuro.

«Le cellule hanno una dimensione che si aggira attorno alle decine di micrometri – spiega Accardo a Sanità Informazione -. Io lavoro alla fabbricazione delle microstrutture che cercano di imitare le proprietà del tessuto umano. Si tratta di un cambiamento importante, perché la biologia cellulare odierna per studiare il comportamento delle cellule e testare l’efficacia dei farmaci utilizza soprattutto metodologie che portano alla formazione di strati cellulari bidimensionali completamente diversi dalla struttura cellulare che abbiamo ad esempio nel nostro cervello, che è tridimensionale. Quello che io faccio è creare una sorta di ‘microimpalcatura’ il cui fine è quello di permettere alle cellule di crescere in un ambiente biomimetico tridimensionale al fine di essere più vicini a quello che è il tessuto cerebrale umano».

Un alleato per la ricerca medica

Le nanotecnologie, dunque, possono rappresentare un grande alleato per la ricerca medica. Soprattutto per l’accuratezza che possono garantire queste strutture microcellulari: spesso farmaci che sembrano funzionare bene nelle sperimentazioni in vitro possono non funzionare nelle sperimentazioni sugli animali o sull’uomo. «L’idea è quella di cercare di colmare questo gap e di creare delle strutture più simili al tessuto umano al fine di poter diminuire la sperimentazione animale, le tempistiche e il dispendio economico» spiega Accardo.

E sono molteplici i campi di applicazione di questa tecnica: il professor Accardo menziona i potenziali importanti sviluppi di tale approccio nel campo delle malattie del neurosviluppo e dei tumori del cervello.

«Prendiamo ad esempio l’autismo, che affligge 1 bambino su 44 – spiega Accardo -. In collaborazione con l’Amsterdam University Medical Center, lavoriamo con ‘cellule staminali pluripotenti indotte’. Negli ultimi 15 anni sono stati sviluppati dei protocolli che permettono di prendere cellule già differenziate, come quelle della pelle, e trasformarle in cellule staminali, cellule cioè che non sono ancora differenziate. Oggi possiamo prendere queste cellule pluripotenti sia da soggetti sani che da soggetti affetti da autismo e differenziarle in neuroni. Coltiviamo poi queste cellule all’interno dei nostri modelli tridimensionali perché vogliamo capire se queste hanno proprietà meccaniche e fenotipi diversi l’uno dall’altro. Questo tipo di informazione è essenziale perché se riusciamo a capire come queste cellule agiscono a livello meccanico in una struttura simile a quella del tessuto cerebrale sarà più facile poter individuare possibili farmaci da testare».

La ricerca sul tumore al cervello

Diverso, invece, il lavoro svolto nell’ambito della ricerca sul tumore al cervello. Il lavoro di Accardo si concentra sulla protonterapia, tecnica di cura che invece dei raggi X (usati nella radioterapia) utilizzare i protoni, componenti subatomici, per colpire le cellule cancerose. La protonterapia ha un’efficacia molto maggiore per diversi tipi di cancro, però è molto più costosa della radioterapia convenzionale, e poi le sperimentazioni animali o con soggetti umani sul cancro al cervello sono molto limitate per il costo elevato delle sperimentazioni e per il fatto che non sempre si riesce a reperire un numero sufficiente di possibili volontari. «All’Holland Proton Therapy Center, centro all’avanguardia fondato in collaborazione tra TU Delft, l’Erasmus Medical Center di Rotterdam e il Leiden university Medical Center, stiamo impiegando delle strutture tridimensionali che imitano il sistema microvascolare del cervello e ivi coltivare cellule di cancro al cervello che vengono anche chiamate cellule di glioblastoma. L’obiettivo è di fornire degli stimoli meccanici, biochimici e geometrici alle cellule imitando le forme dei capillari e dei vasi sanguigni all’interno del cervello tramite strutture 3D che sono fatte di biomateriale (i.e. materiale biocompatibile). Una volta coltivate le cellule di glioblastoma in questo ambiente 3D biomimetico, le portiamo all’interno del centro di protonterapia e le esponiamo a diversi dosaggi di radiazione. In questa configurazione è possibile cercare di calibrare la radiazione di protoni necessaria per eliminare le cellule tumorali e questo senza coinvolgere alcun modello animale».

 

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