Sanità 21 Dicembre 2020 10:00

Il Natale con il Covid non è senza precedenti: somiglia a quello con la spagnola

Cronache dal 1918, tra distanziamento sociale e seconde ondate

di Tommaso Caldarelli
Il Natale con il Covid non è senza precedenti: somiglia a quello con la spagnola

Il Natale 2020 potrebbe somigliare a quello del 1918. Un paragone forse azzardato, essendoci una Guerra mondiale a fare la differenza. Però, subito dopo la fine della Guerra, in Europa e nel mondo imperversava una delle ondate di una malattia per alcuni versi molto simile a quella da SARS-CoV-2, a cui più volte abbiamo fatto accenno: l’influenza del 1918–1920, la cosiddetta spagnola.

Dall’Inghilterra

«Le misure di contenimento sociale vennero sostanzialmente ignorate quando la guerra finì – ricorda il Guardian -. Non è una coincidenza che la seconda ondata ebbe un picco dopo l’armistizio, quando in migliaia ignorarono i consigli di salute pubblica e si assembrarono per festeggiare nelle piazze, nelle strade, nei pub, nelle case e nelle chiese in tutto il paese. Poco dopo, soldati in rientro portarono l’influenza in Inghilterra o in India, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Stati Uniti e oltre».

A leggere le cronache dell’epoca, molte sembrano le analogie con il momento presente; l’organizzazione dei poteri era abbastanza diversa e i governi centrali non sempre avevano la forza per imporre le norme di contenimento sociale. Racconta il Guardian che «ovviamente fino all’armistizio del novembre del 1918 vincere la guerra fu molto più importante che battere la spagnola»; il responsabile della salute pubblica inglese, Sir Arthur Newsholme, «pubblicò il primo memorandum ufficiale nell’ottobre. Raccomandava una serie di misure fra cui l’isolamento dei malati dai sani, la chiusura di scuole e cinema, la disinfezione orale e gli avvisi che scoraggiassero gli assembramenti delle persone». Si trattava di misure non obbligatorie e la cui applicazione era rimessa alle autorità locali, che le fecero rispettare in modo molto, molto blando. Ad esempio a Londra l’applicazione fu scarsa, a Manchester molto più rigorosa.

Negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti, racconta il magazine dello Smithsonian, «San Francisco prese la situazione piuttosto seriamente, implementando l’obbligo di indossare la mascherina in autunno insieme a misure che oggi descriveremmo come distanziamento sociale. Dopo un picco di casi a metà ottobre, la città sperimentò un duro lockdown; le misure furono utili a mantenere la febbre a bada e, un mese più tardi, la città riaprì e tolse l’obbligo di maschere. Ma San Francisco non si era ancora liberata dalla febbre. Arrivato Natale, i casi erano di nuovo in crescita e i cittadini, emersi dalle chiusure antipandemiche, non erano particolarmente ansiosi di tornare chiusi dentro. San Francisco voleva ritornare all’obbligo di mascherine ma la gente resistette», ricordano gli storici.

«Abbiamo sconfitto la pandemia»

Scene assai note anche dalle cronache da Seattle: «Il 12 novembre, dopo cinque giorni di misure di contenimento, la città aveva deciso che le restrizioni erano finite. (…) Il Seattle Times dichiarò la vittoria sulla febbre titolando “L’Epidemia è virtualmente finita”. I negozi tornarono ad aprire dalle 9 alle 5, le scuole ripartirono, così i teatri, i biliardi, le sale da ballo. (…) Le feste però erano premature. Le persone si assembrarono per il Ringraziamento, per il Natale e per Capodanno e i casi tornarono a salire. Dei 5000 cittadini morti di spagnola fra il 1918 e il 1919, la metà morì a partire dal gennaio 1919, a prova del fatto che il lockdown ebbe un effetto mitigatore importante, ma che la pandemia non era conclusa. Tornò quando le persone ricominciarono le loro abitudini quotidiane».

Un triste Natale

Man mano che il tempo procedeva, la situazione peggiorava. Ancora dall’Inghilterra: «Gli ospedali erano sovraffollati a causa dell’afflusso di malati e morenti. Molte strutture non avevano sufficiente personale perché almeno la metà delle infermiere inglesi e dei medici erano stati cooptati per lo sforzo di guerra. Quelli a disposizione avevano ben poco da offrire oltre ad attività infermieristica o cure palliative: non c’erano trattamenti specifici ed efficaci contro l’influenza o le mortali complicazioni a livello polmonare che accompagnavano la malattia. Ai malati veniva suggerito di cercare attenzioni mediche ma molti di loro soffrivano e morivano nelle loro case, fra le cure non di un medico o di un’infermiera, ma di un familiare, un amico o un vicino».

I giorni di Natale, conclude il Guardian, furono tutt’altro che belli: «I necrologi dei giornali, riempiti con morti di guerra fino a quel momento, ora si riempirono anche di morti per l’influenza. Abbondavano le storie di giovani uomini che erano sopravvissuti al fronte occidentale solo per morire di influenza al loro ritorno. Il Times scrisse che l’epidemia fosse da considerarsi cinque volte più mortale della guerra».

 

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