Nel Paese subsahariano asintomatico il 98% dei casi Covid. Colizzi (Tor Vergata): «Popolazione immune per natura, anche grazie alla sabbia»
Poche strutture sanitarie e una previsione dell’OMS tragica. Così il Ciad, paese subsahariano del Sahel, ha affrontato la prima pandemia da Covid lo scorso anno. Tra gli enti più attivi sul territorio, la fondazione Magis di Roma, gestita dai padri gesuiti, che ha avviato, insieme all’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, un laboratorio di analisi biomediche presso l’ospedale universitario Le Bon Samaritain nella capitale N’Djamena, oggi centro di ricerca e monitoraggio anche delle malattie tropicali.
«I primi mesi sono stati difficili perché la pressione internazionale era forte e mancavano gli strumenti per contenere l’epidemia, dai dispositivi di protezione per il personale sanitario alle apparecchiature sofisticate per iniziare a fare i test e l’ossigeno per la terapia intensiva – racconta Sabrina Atturo, responsabile Progetti di Fondazione Magis, in collegamento dal Ciad -. Il governo è riuscito a creare 40 posti letto di terapia intensiva per una popolazione che è di 15 milioni di abitanti».
Nel mese di giugno 2020 sono arrivate in Ciad le prime attrezzature per fronteggiare la pandemia inviate dalla Cina, dagli Usa e dagli Emirati Arabi. «Solo allora siamo riusciti ad attrezzare un laboratorio di biologia molecolare, ad allestire 4 letti di terapia sub intensiva nell’ospedale, a donare al governo il necessario per fare il test Covid e cercare di offrire, per quanto possibile, una risposta epidemiologica all’emergenza che stava colpendo il paese», ricorda Atturo.
Il lockdown ha aiutato a contenere il virus, ma a fare la differenza e proteggere gli abitanti potrebbe essere stata, per quanto strano possa sembrare, la sabbia del Sahara: «Il virus circola con percentuali analoghe all’Italia, ma i malati sono molti meno – spiega a Sanità Informazione il professor Vittorio Colizzi, consulente sanitario del progetto e docente di Immunologia e Patologia presso l’Università di Roma Tor Vergata -. Le ragioni sono diverse, ma la principale è la capacità degli abitanti di smorzare l’attività infiammatoria del virus. Questo perché, probabilmente, la popolazione ha una immunità naturale, dal momento che deve affrontare molte malattie, come malaria e tubercolosi».
«Non solo – prosegue Colizzi -, nel Sahel c’è molta sabbia e il vento che spira per 4 o 5 mesi la porta dappertutto. Questa sabbia di silice ha una forte componente infiammatoria, quindi di fatto il sistema immunitario delle popolazioni sahariane ha sviluppato un’attività antinfiammatoria per bloccare l’effetto della sabbia. Quindi i polmoni di queste persone considerano il Covid un granello di sabbia in più, bloccano l’infiammazione e non si ammalano». Secondo i dati ufficiali, il 98% dei malati di Covid in Ciad è asintomatico ed in un anno sono state circa 300 le persone ricoverate.
Alla campagna vaccinale realizzata in prevalenza con le dosi donate dalla Cina e partita lo scorso 4 giugno hanno aderito operatori sanitari e militari ma poco gli abitanti delle zone rurali. Perché? Probabilmente il Covid fa meno paura di altre epidemie, mentre le varianti sono sconosciute. Questo non ha rallentato però il lavoro di ricerca sul virus e possibili nuove varianti che sono oggetto di studio nei 21 laboratori oggi presenti in Ciad.
«Si lavora per far fronte ad eventuali varianti più aggressive, ma anche per studiare altre malattie che in Ciad e in tutte le zone del Sahel e dell’Africa sono endemiche e che ogni anno distruggono la popolazione – aggiunge Choua Ouchemi, coordinatore nazionale della risposta sanitaria contro il Covid in Ciad –. Per questo il nostro obiettivo primario è riuscire a mettere in rete tutti i laboratori per poter avere informazioni da ogni angolo del paese in tempo reale con la telemedicina. Non solo, per essere più performanti stiamo cercando con l’aiuto anche dell’Italia di mettere a disposizione alcuni formatori per i biologi e con tamponi e test sierologici poter sequenziare il virus e capire quante persone hanno avuto realmente il Covid».
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