In un documento dal titolo “MES, SÌ! (ecco perché)”, redatto da un gruppo di lavoro coordinato dal deputato Vito De Filippo, un piano di azione dettagliato: 10 miliardi per ospedali e personale sanitario, altri 10 miliardi per i servizi medici e l’assistenza territoriale, due miliardi alla digitalizzazione, 5 miliardi per la ricerca e 8 miliardi per imprese e trasporti
Circa 36 miliardi di euro per risanare la sanità italiana. Sono quelli di cui l’Italia potrebbe beneficiare se aderisse al Pandemic Crisis Support del MES, il Meccanismo di Stabilità Europeo di cui si sta tanto discutendo in queste settimane.
Secondo Italia Viva, il partito dell’ex premier Matteo Renzi, si tratta di una occasione che il nostro Paese non deve lasciarsi sfuggire per le vantaggiose condizioni poste: è vero che il fondo, essendo un prestito, andrebbe comunque restituito, ma si tratterebbe di una cifra cospicua (pari al 2% del Pil), con un tasso di interesse vicino allo 0 (0,35% il primo anno e 0,15% per gli anni successivi), una durata massima del prestito di 10 anni e una disponibilità quasi immediata. Unica condizionalità la destinazione dei fondi per le spese “dirette e indirette di salute pubblica, cura e prevenzione legate alla crisi Covid-19”.
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In un documento denominato “MES, SÌ! (ecco perché)”, redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Vito De Filippo (Capogruppo Italia Viva in Commissione Affari Sociali) si prova anche a spiegare come potrebbero essere usate queste risorse: dagli ospedali alla rete territoriale, dalla digitalizzazione al personale sanitario, una mole di interventi capace di colmare le lacune degli ultimi anni e ammodernare il Sistema Sanitario Nazionale. Resta però da convincere la parte della maggioranza più ostile al MES, il Movimento Cinque Stelle, anche se negli ultimi giorni diversi esponenti pentastellati (come il medico Giorgio Trizzino) hanno aperto a questa prospettiva, che inizia a fare breccia anche nel mondo della sanità (tra i favorevoli il sindacato dei medici Anaao Assomed).
«Dobbiamo stare sul merito: avere soldi a quelle condizioni per fare uno storico, rivoluzionario intervento del Sistema sanitario italiano che è un sistema sanitario equo, universale, uno dei migliori al mondo dovrebbe essere una aspirazione, un desiderio, una volontà di tutti – sottolinea a Sanità Informazione Vito De Filippo -. Sono convinto che pian piano il buon senso prevarrà nella maggioranza e noi utilizzeremo questi 36 miliardi di euro».
Nel documento si chiarisce perché non utilizzare quei soldi sarebbe svantaggioso a livello economico per il nostro Paese: «Se decidessimo di non utilizzare il nuovo PCS del MES e reperire circa 36 miliardi emettendo Buoni del Tesoro alle condizioni attuali, la spesa per interessi ci costerebbe circa 700 milioni in più all’anno, per un totale di 7 miliardi nell’orizzonte decennale».
Ma come utilizzare queste risorse? Anche su questo i parlamentari di Italia Viva hanno offerto il loro contributo. Nel documento si propone di utilizzare 10 miliardi per ospedali e personale sanitario, altri 10 miliardi per i servizi medici e l’assistenza territoriale, 2 miliardi alla digitalizzazione, 5 miliardi per la ricerca e 8 miliardi per imprese e trasporti.
Nella prima macroarea “ospedali e personale sanitario” rientrano gli investimenti strumentali e in edilizia sanitaria e di investimenti strumentali, l’implementazione di percorsi pandemic-free e lo sviluppo in parallelo di percorsi ad hoc per le malattie infettive; lo sviluppo e l’integrazione di ulteriori strutture di prevenzione e contrasto delle malattie infettive, investimento infrastrutturale al fine di creare nei pronto soccorso dei punti di osservazione breve dedicata a casi sospetti di infezione, in attesa di diagnosi, al fine di evitare la diffusione del contagio. Allo stesso modo si pensa a una valorizzazione del personale a 360 gradi, con un incremento di risorse in termini economici e di governance, nonché un serio investimento in tema di formazione, ad esempio in materia di contrasto e prevenzione delle epidemie, utilizzo delle tecnologie informatiche più avanzate, sviluppo di conoscenze trasversali.
Altri 10 miliardi andrebbero dedicati a “servizi medici e assistenza territoriale”. Il rafforzamento del territorio, alla luce anche delle esperienze maturate in questi mesi nelle regioni sul contrasto al Covid-19, è prioritario: occorre, per Italia Viva, «una riforma dell’assistenza territoriale, che ponga al centro cittadinanza ed operatori», e un rafforzamento delle UCCP (Unità Complesse di Cure Primarie). La ripresa potrebbe poi far emergere il rischio che non si possa far fronte ai bisogni crescenti derivati dal lungo lockdown. A tal proposito Italia Viva propone la nascita di quattro Fondi: un Fondo di sostegno ai livelli essenziali delle prestazioni e ai servizi sociali territoriali, finalizzato a rafforzare le reti dei servizi sociali territoriali per consentire interventi urgenti connessi all’emergenza pandemica e dedicato ad alcuni settori specifici; un Fondo a sostegno degli enti del Terzo settore per assistenza domiciliare e in remoto, un Fondo per l’assistenza sanitaria domiciliare alle persone con disabilità o con patologie croniche, un Fondo per l’assistenza psichiatrica e psicologica, volto a garantire la gestione del burnout degli operatori sanitari e della sindrome da stress post-traumatico per le comunità terapeutiche riabilitative territoriali.
Il terzo capitolo è dedicato alla digitalizzazione e al controllo della spesa in sanità, con particolare riferimento al Fascicolo Sanitario Elettronico, attivato solo dal 10% dei cittadini.
Altri cinque miliardi dovrebbero andare alla ricerca considerando che l’Italia destina alla ricerca solo l’1,35% del Pil contro una media europea del 2,7%. Diversi gli interventi proposti come un «cospicuo investimento pluriennale per la ricerca di base e la ricerca nei diversi settori medici, la massima integrazione e un allineamento coordinato tra i poli di ricerca, pubblici e privati, oggi esistenti; l’individuazione e il potenziamento di un Centro di Ricerca ad hoc per le pandemie; un Fondo appositamente istituito per garantire ai nostri laboratori di ricerca, pubblici e privati, la dotazione delle più moderne tecnologie e strumentazioni esistenti; modalità di collegamento rapido e interoperabilità dei dati di ricerca tra poli di ricerca nazionali, fondazioni universitarie, IRCCS, centri di ricerca privati, ecc., anche mediante l’implementazione delle tecnologie informative più avanzate».
L’ultimo capitolo prevede 8 miliardi per imprese e trasporti. Si tratta sempre di interventi che hanno a che fare con la salute pubblica, perché si tratterebbe di spese “indirette” di prevenzione e contrasto all’epidemia.
«Analizzando le decisioni della Commissione europea e gli orientamenti della stessa Commissione – spiega ancora De Filippo – noi ci rendiamo conto che questi soldi possono essere usati per aiutare le imprese a mettere in sicurezza i luoghi di lavoro, i trasporti pubblici». Tra gli esempi citati ci sono l’erogazione di incentivi volti al sostegno per le imprese che effettuino investimenti strutturali ed infrastrutturali necessari a garantire il distanziamento sociale e misure incentivanti finalizzati all’individuazione ovvero all’assunzione di un “pandemic manager”, con funzioni di coordinamento ed attuazione delle misure di prevenzione dal contagio.
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