Sanità 1 Aprile 2022 11:30

La sindrome dell’Avana non è dovuta ad attacchi da parte di paesi stranieri. La Cia conferma, poi si corregge

Si tratta di una patologia neurologica riscontrata in alcuni diplomatici americani in servizio a Cuba tra il 2016 e il 2017 ed in seguito in molte altre città del mondo. Da cosa è causata? Tante teorie e nessuna certezza se non quella che i dati sono stati raccolti senza un metodo

di Stefano Piazza
La sindrome dell’Avana non è dovuta ad attacchi da parte di paesi stranieri. La Cia conferma, poi si corregge

Tra il novembre del 2016 e il 2017 diversi funzionari dell’Ambasciata americana e di quella canadese in servizio a L’Avana (Cuba) accusarono una serie di disturbi quali: anomale percezioni sensoriali e cognitive associate a sintomi come il ronzio auricolare, vertigini, spossatezza, nausea e mal di testa. Il primo caso documentato venne descritto da un dipendente dell’Ambasciata americana degli Stati Uniti a Cuba che nel 2016, durante la notte, si svegliò all’improvviso a causa del fortissimo dolore associato ad una sensazione di pressione al viso. L’uomo raccontò di aver sentito un forte suono penetrante in un solo orecchio, con successiva comparsa di sintomatologia vertiginosa acuta accompagnata da nausea.

L’osservazione clinica nei giorni successivi confermò una possibile ma non chiara disfunzione vestibolare e mise in evidenza la successiva comparsa di un deficit cognitivo. Successivamente, nel 2017, vennero alla luce nuovi casi che hanno coinvolto dipendenti del Consolato degli Stati Uniti a Guangzhou (Cina), con segni e sintomi sovrapponibili a quanto già riferito nella casistica nota. Le cause? Un mistero che si manifesta ancora nell’estate del 2021 a Ginevra, Vienna, Parigi, in Russia, in Germania, nell’Europa dell’est, in Colombia e a Washington D.C., Questi ultimi casi, tuttavia, non sono ancora stati presi in considerazione dal punto di vista scientifico.

Qui occorre ricordare anche il coinvolgimento di alcuni parenti dei soggetti dipendenti delle diverse Ambasciate tutti con gli stessi sintomi della sindrome dell’Avana che diventa un tema di sicurezza nazionale tanto che la Central Intelligence Agency (CIA) decide di occuparsene. Quindi, con l’intervento dell’agenzia di intelligence il mistero è stato risolto? No, perché il report preliminare della CIA dice che la sindrome dell’Avana «con molta probabilità non dipende da presunti attacchi deliberati da parte della Russia o altri paesi stranieri».

Incalzato dalla stampa, il direttore della CIA William J. Burns ha spiegato: «La maggior parte dei circa mille casi di sindrome dell’Avana analizzati dall’agenzia è legata a motivi ambientali, a situazioni di stress elevato oppure a problemi medici che non erano stati diagnosticati in precedenza».  Ma quali ? Secondo William J.Burns «in alcuni casi potrebbero lasciare la porta aperta a spiegazioni alternative». Ma che vuol dire ? Nessuno lo sa, la CIA non l’ha spiegato e ha solo aggiunto che i risultati del rapporto sono ancora provvisori. Tra le molte ipotesi fatte per provare a spiegare la sindrome dell’Avana c’è chi ha azzardato che dietro a tutto ci sarebbero i servizi segreti russi che avrebbero utilizzato onde elettromagnetiche ad alta frequenza, ma anche qui le prove non ci sono.

Sul tema è stato recentemente pubblicato uno studio scientifico realizzato da NeuroIntelligence, Private Institute of Research, istituto di ricerca che ha sede a Varese e che è diretto da Franco Posa, medico, criminologo ed esperto in Neuroscienze Forensi che abbiamo incontrato.

Dottor Posa, premesso che neppure la Cia è riuscita a spiegare (o forse non ha voluto) la sindrome dell’Avana, il vostro studio contiene una serie di elementi nuovi che possono aiutare a far luce sul caso. Su cosa vi siete maggiormente focalizzati?

«Il nostro studio si è concentrato sulla rivalutazione di tutti i dati clinici ed epidemiologici presenti in letteratura scientifica. Successivamente ci siamo focalizzati nel proporre raccomandazioni indispensabili per poter “iniziare” uno studio condiviso. Un progetto comune, condiviso e strategico per affrontare e chiarire il numero di casi, la loro evoluzione e non per ultimo ipotesi sulle origini di tale sindrome. Ipotesi che fino ad oggi non hanno convinto in alcun modo gli studiosi coinvolti».

É d’accordo con chi sostiene che fino ad oggi è mancato un metodo di lavoro?

«Certamente sì, manca un metodo condiviso, i dati clinici sono stati raccolti con sistemi informatizzati differenti tra loro, dal punto di vista diagnostico o terapeutico ogni struttura ha svolto lavori autonomi. Ad oggi il nostro studio è all’avanguardia proprio per le raccomandazioni che siamo riusciti a identificare e proporre».

Se la sente a questo punto di azzardare un’ipotesi sul perché così tante persone che lavorano per le rappresentanze diplomatiche siano state colpite dalla sindrome dell’Avana?

«Un primo dato rilevante è che la casistica raccolta in letteratura scientifica è molto differente in termini di numero delle persone coinvolte rispetto a quanto documentano articoli giornalisti o altre fonti aperte non scientifiche. La possibile diagnosi di Sindrome dell’Avana fondata su elementi clinici e scientifici permette di identificare una casistica ad oggi di circa 20 soggetti. Tutti gli altri casi, che sfiorano il centinaio, sono in gran parte smentiti. Numeri difficili da valutare per due evidenze: assenza di una strategia coordinata e presenza di possibili dati occultati per ovvi motivi». Il mistero quindi continua.

 

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