I numeri ormai lo dimostrano: il continente ha meno casi e meno malati. Quali le ragioni? Gli studiosi si interrogano
I modelli e gli studi epidemiologici disegnavano a inizio pandemia un quadro funesto e allarmante: sembra però che possano dirsi ormai contraddetti dai risultati. In molti paesi africani, per fortuna, l’epidemia da Coronavirus è al palo. Il numero di nuovi casi positivi giornalieri scende costantemente da due mesi a questa parte e nell’ultimo mese, riporta la BBC, si segnala un calo di casi nell’ordine de 3% medio a settimana. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha, in un recente comunicato stampa, messo insieme alcune considerazioni che consolidano queste osservazioni.
«Circa il 91% delle infezioni da Covid-19», scrive WHO, «si sono verificate in soggetti al di sotto dei 60 anni e più dell’80% dei casi sono asintomatici. Un mix di fattori socio ecologici sta probabilmente contribuendo al pattern che vediamo nel continente: la bassa densità della popolazione, il clima caldo e umido, demografiche positive e di giovane età» – parliamo di paesi in cui solo il 3% della popolazione ha più di 65 anni – e «non sarebbero però da sottovalutare anche «forti misure di salute pubblica intraprese dai governi nella regione». La direttrice regionale di WHO Africa, Matshidiso Moeti, ha detto, riportata dalla NBC: «I governi hanno preso misure rapide ed efficaci, grossi lockdown a discapito delle proprie economie. Questo ci ha dato un po’ di vantaggio»; e tuttavia, ha aggiunto John Nkengasong del Center for Disease Control africano, citato dalla BBC: «Non penso che siamo fuori dalla prima ondata, non siamo ancora al punto di minimo».
Vero è che i dati sono incoraggianti. Per l’Uganda, ancora da NBC, si ricorda che «i modelli predicevano 600mila casi da Coronavirus e 30mila morti»: oggi sono 7mila casi e 70 morti. Il Sudafrica, il paese più colpito dall’epidemia, ha 665mila casi e 16mila morti, ovvero 28 morti su 100mila abitanti che è meno della metà del dato, doloroso e dirompente, degli Stati Uniti. Vi sono poi ulteriori ipotesi, alcune di esse anche citate in precedenti interviste su Sanità Informazione: il tema delle (parziali e limitate) immunità incrociate. Essendo le popolazioni africane state molto colpite da precedenti Coronavirus, spiega Nbc, potrebbero aver sviluppato “immunità reattive incrociate”: è presto per avere certezze su questo fronte ma all’università di Edimburgo ci sono dei progetti di ricerca «da cui aspettiamo i primi risultati nei prossimi quattro mesi». Vi sarebbe, come dicevamo, anche il dato della densità: «Il virus non si trasmette granché bene all’aperto», spiega Francisca Mutapi, professoressa di salute globale e immunologia nel capoluogo scozzese: «In Africa una parte significativa della popolazione è rurale e passa molto del tempo all’aria aperta. Questo è uno dei fattori che spiccano nel nostro lavoro».
Vi è, per contro, un dato di preoccupazione: citato da BBC l’International Rescue Committee sostiene che i casi sarebbero pochi perché troppo pochi sarebbero i test effettuati. «Un esempio è il Kenya dove i positivi sono calati da oltre un mese, da quando il governo ha cambiato la propria strategia di test per concentrarsi solo sui gruppi ad alto rischio. In Etiopia invece i test sono aumentati e abbiamo avuto un buon aumento dei positivi, ma ora c’è un declino». Sia come sia, non c’è da rilassarsi: «L’Africa non ha visto un decollo esponenziale del Covid-19 come in molti all’inizio temevamo», ha detto la dottoressa Moeti dell’OMS, «ma la diffusione più lenta dell’infezione nella regione significa che ci aspettiamo che la pandemia prosegua per diverso tempo, con fiammate occasionali. La risposta nei paesi africani deve essere pensata su ogni situazione specifica. Altre regioni del mondo hanno visto trend positivi, hanno allentato le misure sociali e di salute pubblica e i casi sono tornati a salire».
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