La comparazione con il sistema francese, che si vorrebbe imitare, dimostra che vanno rivisti i criteri di accesso alle scuole di formazione e al lavoro
Copiare, o provare ad imitare, il sistema francese potrebbe rivelarsi solo un palliativo. L’ipotesi di riforma lanciata dal ministro all’Istruzione Stefania Giannini – intenzionata ad abolire il test d’ingresso a Medicina ed avviare un percorso selettivo sul modello di quello transalpino – viene considerata, per il momento, solo una goccia nell’oceano delle difficoltà di chi punta ad indossare un camice bianco.
Il corso di studi è solo il primo dei tanti ostacoli da superare. Il modello francese consente, infatti, dopo il primo anno di studi, di assottigliare al 15-20% la platea degli aspiranti medici creando così prospettive di lavoro realizzabili. In Italia, invece, la parete da scalare è impervia prima ancora di entrare in facoltà con meno di 10mila posti a disposizione per quasi 70mila studenti.
Fin da questo istante comincia a balenare nella mente l’idea di preparare la valigia ed andare a studiare all’estero. Chi non lo fa – in questo momento – la tiene pronta ugualmente: pochi anni dopo potrebbe di nuovo tornare utile. Finito il primo ciclo di studio – utilizzando sempre la Francia come riferimento – oltralpe i laureati sostengono un test (il temuto Ecn) ed in base al risultato accedono alle scuole di specializzazione dove i posti sono pari al numero dei partecipanti. In Italia non è così: il bando infatti mette a disposizione un numero di posti inferiore alla richiesta. Chi non entra non ha altre alternative: un bel biglietto aereo e via verso altre nazioni in cerca di un’opportunità.
La vera beffa, però, si concretizza quando si riesce a terminare in Italia il lungo percorso di studi: allo Stato costa in media 150mila euro spalmati negli oltre 10 anni di formazione di ogni singolo dottore. Ma siccome i posti sono ridotti all’osso ed il turnover bloccato da tempo, allora la famosa valigia torna utile per andarsi a cercare un posto all’estero: non in Francia dove il sistema sanitario privilegia ovviamente chi si è formato in patria, ma non mancano opportunità in Gran Bretagna o nei rampanti Paesi del Nord Europa. È chiaro, in conclusione, che senza una riforma di tutto il settore sarà difficile contenere la fuga di camici bianchi: un recente studio ha dimostrato che il 17% dei neo-laureati che resta fuori dalle scuole di specializzazione e dal corso di formazione in Medicina Generale, rimane sospeso in un limbo in cui non può rimanere a lungo. Ma il vero paradosso è che tra questo “piccolo esercito” ed i tanti che oltrepassano le frontiere, in Italia si registri una carenza di medici che costringerà nel giro di qualche anno ad importare i dottori dall’estero. Un chiaro problema di programmazione, che non si risolve – solo – affrontando il problema dei test d’ingresso.